“Dalle mie parti quand’ero un ragazzino si diceva che il cazzotto tirato per primo vale per due”. Potrebbe bastare questa frase per capire lo spirito pugnace con cui Walter Lone Wolf affronta la piazza di Napoli, per la seconda volta nella sua vita professionale. Anche nelle semplici stradine di San Vincenzo, che non saranno certo i complicati vicoli di Napoli, quando le anziane sedute sulle sedie di paglia all’uscio di casa e gli anziani intenti a sorseggiare un bicchierino ai tavolini di un bar, lo guardavano ammaestrare il pallone come solo una foca saprebbe fare e pronosticavano per lui un futuro da campione, qualche litigata con i compagni di gioco sarà pure capitata... E Walter non aveva certo un carattere morbido, si sapeva ben difendere. Sono passati dieci lunghi anni dalla prima esperienza, una vita di panchine, centinaia e centinaia di panchine piene di vittorie, pareggi e sconfitte una fila all’altra. Il Vesuvio è ancora laggiù, maestoso, che domina il Golfo e la città con il suo folle caos, agli occhi dei forestieri, calma vita per chi ci è nato. La differenza dal passato al presente è totale: non ha più sopra di lui l’ombrello protettivo dell’amico Renzo Ulivieri. Non è più l’allenatore in seconda, ora tocca alla sua faccia, al suo corpo, prendere il vento in faccia di una piazza che sa darti tanto affetto da travolgerti, che perdona tutto quello che ti vuoi o puoi permetterti nella vita privata – anche sbagliando, Maradona docet – ma che non ammette mezze figure, figurini e mezze tacche nei 90 minuti di partita. Lì, sul campo verde, devi dare tutto per la maglia azzurra. Devi saper far sognare. Come Sallustro, Amadei, Jeppson, Vinicio, Pesaola, Altafini, Sivori, Savoldi e il re che porta lo scudetto Maradona. L’esordio di Walter sulla panchina del Napoli porta la data del 18 ottobre 2009. In quella partita al San Paolo il destino gli mette davanti il Bologna. Una parte non piccola del suo ieri da allenatore. Quagliarella e Maggio rimonteranno la rete di svantaggio e gli regaleranno la prima vittoria. L’esonero di Roberto Donadoni, il suo predecessore sollevato dall’incarico dopo i 7 punti raccolti in 7 partite, è ancora fresco. La squadra si è riaccesa – in verità, capita nella quasi totalità degli esordi dei nuovi mister – ma il motore non lo spegnerà più. Proprio più.
“Potrà anche essere che io non capisca niente di calcio – dichiarava il vulcanico presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis in risposta a Donadoni – ma qui comando io. E io ho scelto Mazzarri, un mio pallino da un paio d’anni. Un uomo concreto che ama la sintesi, intelligente e di buon senso”.
Walter alla presentazione non aveva fatto proclami e aveva evitato di parlare di qualificazione europea. “Io – sottolinea De Laurentiis – mi sento responsabile verso la gente. Vincere non vuole solo dire arrivare in Europa”.
E in Europa, il Napoli, entrerà come un treno. Il 20 dicembre 2009 Walter festeggia la sua 200a panchina di serie A vincendo 2-0 contro il Chievo, decimo risultato utile consecutivo. La risalita in classifica è impressionante: il girone di andata è chiuso al terzo posto e la prima sconfitta della sua gestione arriva solo in Coppa Italia contro la Juventus. Il primo stop in campionato avviene a Udine il 7 febbraio 2010. La serie di risultati utili del Napoli si ferma a quota 15, frutto di 8 vittorie e 7 pareggi, seconda soltanto ai 16 risultati utili consecutivi del Napoli scudettato bis del 1989/90. Walter Lone Wolf ha il vento in poppa e il 2 maggio 2010 ancora contro il Chievo (2-1) regala un traguardo insperato al popolo azzurro: la qualificazione all’Europa League chiudendo al sesto posto. Di certo non una scossa da cambio di panchina ma una corrente continua per tutta la stagione. Tre giorni dopo riceve il premio Eccellenza Napoletana per meriti sportivi, atto testimoniante l’avvenuta conquista del cuore della città, come gli era accaduto a Reggio Calabria. Poi, l’incontro con De Laurentiis e la firma del prolungamento del contratto fino al 2013. Saranno tre anni di passione e di successi: l’Europa che conta è l’isola del tesoro perduta e tanto ricercata dai tempi dello scudetto. Eccola là in fondo, sulla linea dell’orizzonte. Walter la punta, con in testa il suo credo acquisito nel profondo Sud: non basta essere un allenatore, devi essere anche credibile, ingoiando la polvere con i giocatori, per diventare un leader ai loro occhi. Uomo prima di mister. Vincente anche se antipatico, burbero quasi nel piccolo compiacimento di esserlo. Il regno di Walter in città è a Pozzuoli, all’interno di una bella villa senza sfarzi, con un parco pieno di fiori e di alberi da frutta. Un’oasi. “E’ l’ambiente ideale. Lavoro quasi tutto il giorno, quando stacco ho bisogno della mia privacy. Del silenzio, della serenità, del verde che mi circonda. Mi manca non vedere il mare, ma a qualcosa dovevo pur rinunciare se voglio vivere in un ambiente lontano dai rumori della città. Solo una volta sono sceso a far colazione in un bar sul lungomare. In pochi minuti sono stato circondato da centinaia di tifosi. Ho bevuto il caffè di corsa e lasciata a metà la brioche…”. E poi, basta con questa immagine di allenatore scontroso, “me l’ha data chi non mi conosce e gli avversari. Chi mi conosce veramente l’opinione la cambia. Se mi fido mi apro e i miei giocatori sono la testimonianza più diretta: amo coinvolgerli, metterli sempre a loro agio. Pretendo tanto, ma li rispetto tutti”. E poi, basta con questa immagine di allenatore presuntuoso, “sono solo sicuro di quello che dico perché parlo di quello che so. Quando si affrontano argomenti sui quali non ho preparazione ho l’umiltà di stare zitto”. Quando parla, Walter Lone Wolf, lo fa a ragion veduta, “quando parlo di calcio mi sento sicuro. Devo esserlo per trasferire al meglio i miei concetti ai calciatori. Loro devono affidarsi completamente e credere in me. Come uomo, come allenatore, questa è la vera leadership. Tutti i miei giocatori sanno che li tutelo, li proteggo, metto la mia faccia per loro. Quando prometti e mantieni sei credibile”. La stagione 2010/11 vede i partenopei passare il turno di Europa League superando gli svedesi dell’Elfsborg, in campionato dopo la vittoria contro la Roma (erano tredici anni che il Napoli non batteva i giallorossi) Il Mattino gli dedica una pagina: Mazzarri è il migliore allenatore degli azzurri nell’era dei tre punti!. L’avventura in Europa League termina agli Ottavi contro il Villarreal ma il 15 maggio 2011 contro l’Inter guidata da Leonardo arriverà il punto che porta la qualificazione matematica alla Champions League. Erano 21 anni che il Napoli non la giocava, tanto che si chiamava ancora Coppa dei Campioni. Dopo la festa, qualche scaramuccia e polemica con De Laurentis sulla squadra che sarà, Walter chiede un rafforzamento per il doppio impegno. “De Laurentiis e io dovevamo solo confrontarci sui programmi, lo abbiamo fatto e proseguiamo insieme. Per stare in un posto devo sentirmi perfettamente a mio agio, dovevamo parlare prima di continuare”. Le nubi sono spazzate, torna l’azzurro, il viaggio prosegue. Ieri Pulvirenti, Spinelli, Foti e Garrone, oggi De Laurentiis ma Lone Wolf si pone sempre allo stesso modo “Rapporti schietti e sempre diretti. Di grande lealtà. Con Pulvirenti ho avuto un' intesa speciale, però”. E con il fatto che il calcio italiano brucia tanti allenatori come la mettiamo? “Colpa delle società ma anche dei media. Si vuole tutto e subito, invece un allenatore andrebbe valutato come un manager di azienda dandogli il tempo minimo necessario per avviare il suo progetto, mettendolo in condizioni di lavorare bene. Purtroppo spesso gli allenatori vengono scelti per simpatia o per facciata e li si cambia ai primi risultati sbagliati”. Il grande risultato conquistato da Mazzarri è condensato per gli addetti ai lavori del mondo calcio nella vittoria del 22o Timone d’oro, prestigioso riconoscimento istituito nel 1990 dall’Associazione Italiana Allenatori di Arezzo che ha visto vincitori come Trapattoni, Mancini, Capello, e Prandelli. “Per essersi messo completamente al servizio della squadra, grande motivatore ed esaltatore delle qualità dei singoli…” la motivazione che non ha bisogno di altre aggiunte. La stagione 2011/12 si apre il 25 agosto con il sorteggio di Champions League, il Napoli parte come squadra di quarta fascia. Nel gruppo A è la vittima sacrificale di Bayern Monaco, Manchester City e Villarreal, l’esordio nella massima competizione europea è datato 14 settembre 2011 (1-1 a Manchester contro il City di Mancini). Alla faccia di ogni pronostico il Napoli passa come secondo dietro il Bayern Monaco che andrà in finale con il Chelsea, quel Chelsea che vincerà ai rigori il trofeo dopo aver eliminato proprio gli azzurri negli ottavi di finale. Dopo la vittoria per 3-1 al San Paolo (Villas Boas sarà esonerato) alcune clamorose occasioni fallite da Lavezzi porteranno il Napoli prima ai supplementari poi all’eliminazione con gli inglesi guidati da Di Matteo. L’avventura finisce a testa alta. Le energie lasciate sul cammino europeo faranno ottenere, a fatica, il quinto posto in campionato. Ma è la data del 20 maggio 2012 che passa alla storia del Napoli e personale dell’allenatore: dopo un quarto di secolo un trofeo torna in città e per Walter è il primo in carriera. La Juve è battuta nella finale di Coppa Italia, 2-0 con gol di Cavani e Hamsik. Il racconto della Gazzetta: “Bello nella sofferenza, cinico, generoso, famelico… E’ il Napoli il nuovo re di Coppa. Cantano ebbri di felicità i 30 mila dell’Olimpico. Un filo azzurro lega questa squadra a quella del passato, l’ultima, quella di Maradona, che vinse nel 1987 una Coppa Italia, l’ultima nel 1990 a sollevare un trofeo (la Supercoppa Italiana). Una notte magica piena di bollicine e fuochi d’artificio, e la storia scritta in fondo a una stagione. Come brillano le stelle di Walter Mazzarri che vince la Coppa laddove l’aveva persa nel 2009 sulla panchina della Sampdoria e di Aurelio De Laurentiis che aveva acquistato la società ripartendo dalla C1 nel 2004”. Il Napoli non ha più confini e quando risuonano le note de “O’ surdat’o nnammurato” la gente invade il campo tra un delirio di bandiere, colori e urla. Walter riversa sui taccuini tutta la sua felicità: “Siamo la prima squadra che è riuscita a battere la Juve. Piegare i bianconeri è stata un’autentica impresa. Cavani e Hamsik sono stati straordinari, Lavezzi bravissimo. Ma tutta la squadra va osannata in blocco. Il mio contratto fino al 2013? Non c’è problema, alcuni allenatori vanno avanti di anno in anno. Posso andare avanti così di mia volontà. I miei ragazzi mi hanno dato grandi soddisfazioni, da parte loro c' è stata grande disponibilità. Questo è il coronamento di tre anni molto belli, questa è la ciliegina sulla torta di tutto quello che abbiamo fatto. Godiamoci la festa poi penseremo al futuro”. Walter continuerà con il Napoli ma non accetterà la proposta di prolungamento di contratto fino al 2015. Nella sua testa sta già maturando l’idea, la voglia, l’ambizione per altre sfide ma non è ancora il momento di focalizzarle. La stagione 2012/13 si apre come si era chiusa la precedente: con la sfida alla corazzata Juventus a Pechino per la Supercoppa Italiana. Il finale non è lo stesso, niente gioia, vincono i bianconeri 4-2 nei supplementari, ma alcune decisioni dell’arbitro Mazzoleni e di Rizzoli arbitro d’area, lasciano quantomeno perplessi. Rabbia e veleni. Walter Lone Wolf non ci sta e si trasforma in Roberto Cammarelle, il pugile elogiato da John Elkann come esempio di chi ha accettato il verdetto sfavorevole nella finale per l’oro dei massimi all’Olimpiade di Londra. Lui si mette i guantoni e picchia forte: “Non capisco perché la Juve parli di antisportività da parte nostra. Inoltre, mi chiedo da che pulpito viene la predica. Parla una società che dice di avere 30 scudetti nonostante le sentenze della giustizia sportiva gliene attribuiscano 28. Sarebbe meglio tacere”. “Sentendo poi – continua - parlare Elkann mi è venuta una battuta, non siamo rientrati per la premiazione perché eravamo già sotto la doccia”. Una scusa che la Juventus usò nel 1998 per giustificare la mancata partecipazione della squadra alla premiazione della Supercoppa vinta dalla Lazio. «Mi sento cornuto e mazziato – e Walter per farsi ben capire lo ripete due volte - e poi chissà come avrebbero reagito loro se avessero subito quel che abbiamo subito noi, sia durante che dopo la gara perché c’è stata una disparità di trattamento. Evidentemente sussiste ancora la sudditanza psicologica, altrimenti non si spiega questa iniquità da parte dell'arbitro e dei suoi collaboratori. Passi per gli errori tecnici, ma ci era stato detto che ci sarebbe stata tolleranza zero per le proteste, tanto è vero che Behrami nonostante avesse subito due falli da rigore non ha aperto bocca. Invece, sono stati usati due pesi e due misure perché a noi hanno espulso Pandev e Zuniga per due gialli e a loro, che protestavano reiteratamente, non è accaduta la stessa cosa». Walter pensa a un gesto eclatante: le dimissioni. A Ferragosto stacca un paio di giorni. E riflette. “Resto indignato, ma ho ricevuto un sacco di messaggi di solidarietà dopo la mia espulsione. Vado avanti, credo ancora in questo mondo”. Sguardo sulla stagione che inizierà con il suo mantra: l’allenamento. “Ci manca brillantezza e dobbiamo ancora lavorare sulla tenuta atletica, per me parla il campo, chi sta meglio gioca non guardo alla carta d’identità”. Mazzarri condurrà il Napoli al secondo posto in campionato con 78 punti e alla seconda qualificazione diretta alla fase a gironi di della Champions nel giro di tre stagioni, migliorando sia il record di punti sia il piazzamento ottenuti due anni prima. Il finale di un altro atto della sua vita professionale è scritto, al termine di Roma–Napoli del 20 maggio 2013 le sue parole: “Il mio ciclo a Napoli è concluso, cambierò aria oppure starò fermo. Sono stati quattro anni stupendi, ringrazio i ragazzi e tutti quelli che mi sono stati vicino". Walter spiega anche il perché dei tempi scelti per l'addio al Napoli: "Ho aspettato la fine del campionato, se lo avessi detto prima i ragazzi ne avrebbero risentito. Considero concluso questo ciclo. Ringrazio il presidente De Laurentiis, Bigon e tutti i tifosi, da sempre al mio fianco. È stata una stagione eccezionale, ho dato tutto me stesso, ma è arrivato il momento di un altro step”. Walter, rifiutato il prolungamento del contratto, è rimasto a scadenza giocando sulla sua pelle. Ha puntato su se stesso perché se avesse fatto una brutta annata... “A questo punto credo sia giusto così, un allenatore come Capello dice che in Italia più di 4-5 anni un tecnico con lo stesso gruppo e nello stesso ambiente non deve stare. Io la penso come lui. Se fossi rimasto ancora, la maggior parte dei giocatori non avrebbe recepito allo stesso modo certe mie sollecitazioni”. Walter è pronto per un altro viaggio. L’Inter sarà il suo nuovo approdo. “Mi sento tagliato per questo lavoro e questa vita. Da calciatore non avevo il carattere giusto, da allenatore mi sento finalmente al mio posto. Ho il senso di giustizia dei nati sotto il segno della Bilancia e ho la forza per andare dritto per la mia strada. E’ la coerenza che ti fa apprezzare dai giocatori. Alla fine il modo migliore per volersi bene davvero”. Walter scinde sempre lavoro da vita privata, al punto che sua moglie e suo figlio non l' hanno mai seguito nei suoi spostamenti su e giù per l’Italia Perché? «Se lavoro, lavoro e basta – ribadisce - La famiglia sa che in quei momenti non può stare con me. È un ambito privato e non può mischiarsi col mio lavoro. Mio figlio Gabriele ha un poi subìto le conseguenze di questa scelta di vita. Lui vive il calcio come un qualcosa che gli ha portato via il padre. Sono stato troppo lontano, l'ho visto poco e spiace a me come a lui. Quando stiamo insieme ci isoliamo da tutti e parliamo solo di cose nostre”. “Io voglio sempre di più”, alza l’asticella restando però coi piedi ben piantati per terra, Walter. “Ho scelto di fare l’allenatore per missione”, oggi la sua missione è salire fino in cima alla Madonnina che domina Milano per ridare lo scudetto alla Beneamata e prendersi il cuore della città. Non dovrà guardare giù per non avere le vertigini perché guidare l’Inter è speciale, molto speciale. Chissà, magari da lassù potrà vedere anche il mare.
FINE
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