Prima del match contro la Repubblica Ceca, Milan Skriniar ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni del sito Idnes.cz, nel corso della quale ha parlato ampiamente delle sue ambizioni per il futuro. Scherzando in primo luogo sulle voci legate al suo valore: "Il mio prezzo? Non è che ci capisca molto e non lo so nemmeno. Se ne parlassi commetterei un errore. Si parla di tanti soldi, dovrei tagliarmi tutto per ripagarli. Non so nemmeno se siano cifre vere. Ma non ci penso".

Pep Guardiola, José Mourinho ed Ernesto Valverde lo vorrebbero alle loro dipendenze, ma qualcuno di loro si è mai fatto vivo direttamente con lui? "Per nulla. Per questo dico che possono essere solo delle voci. E poi, anche se restassi per tutta la mia carriera all'Inter, così come sta facendo Marek Hamsik nel Napoli, sarei felicissimo. L'Inter è un grandissimo club, che sta venendo fuori dalla crisi e sta giocando la Champions League". A Skrinka viene anche chiesto a che livello si sente della sua carriera: "Ho ancora 23 anni, per cui non posso certo dire di essere al top. Forse sto vivendo un momento di pausa: l'anno scorso passai all'Inter e mi ritrovai ad un livello completamente differente. La prima stagione è finita, ora sarà determinante come finirà questa. E' facile fare balzi in avanti, ma è difficile mantenere certi livelli".

Se c'è una cosa che Skriniar non ha imparato a fare dagli italiani è il gesticolare: "Loro impazziscono con le mani quando prendono il caffé e quando vanno in campo. Ma a me questa cosa non serve, almeno per adesso", spiega ridendo. Ma in cosa si sente un giocatore migliore, ora che è all'Inter? "Ho una grande fiducia in me stesso. Non solo come calciatore ma come persona. Quando è così, ti senti meglio sotto ogni aspetto. Quando non giocavo senza sapere il motivo, vedevo tutto nero. Perché avrei dovuto imparare l'italiano se non mi volevano? Perché avrei dovuto allenarmi se non giocavo?". E il riferimento è al mancato feeling con Vincenzo Montella alla Sampdoria: "Non so perché non mi vedesse, non mi allenavo nemmeno col gruppo: loro andavano ad allenarsi e io mi ritrovavo a calciare con i ragazzini. In quegli istanti mi chiedevo se dovevo lottare o rifare le valigie e tornare allo Zilina. Poi, però, Montella mi schierò in una gara contro il Palermo, e presi complimenti ovunque nonostante perdemmo. Poi fui convocato per l'Europeo e da lì tutto andò liscio. Anche perché Marco Giampaolo venne da me e mi disse che con lui avrei giocato".

Il presente ora si chiama Inter, e soprattutto Champions League: "Qualcosa di irreale, una favola. Quando avevo quattordici anni e consegnavo le palle a Zilina, sognavo segretamente di essere sul campo almeno una volta. Quando prima della partita contro il Tottenham l'inno è risuonato a San Siro, ho avuto la pelle d'oca. Il tutto era anche amplificato dal fatto che l'Inter non giocava in Champions da sei anni. Alla fine, tutto lo stadio ha urlato la frase finale della canzone: 'The Champions'". Chiosa tattica: "Cosa ho imparato in Italia? A rimanere in una posizione laterale per rispondere meglio al movimento di un attaccante. Ovvio, commetto ancora qualche errore, anche perché spesso hai solo un momento per decidere: vado avanti o indietro? E finisci con l'essere sorpreso. Con Giampaolo gli allenamenti erano una vera e propria esercitazione tattica. I difensori dovevano coordinare tutti i movimenti, ed erano quattro persone alla volta. Bisogna essere precisi sempre, perché ogni dettaglio decide". 

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Sezione: In Primo Piano / Data: Sab 13 ottobre 2018 alle 21:15
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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