Giornata di tante parole in casa Inter. Dopo Mancini, è il turno di Danilo D'Ambrosio, intervistato in esclusiva da Tuttosport.

L'Inter può essere la squadra giusta per far rifiorire Cerci? 
"Quando si cambia campionato e si va all'estero non è mai facile trovare la marcia giusta. Alessio però è dell'Atletico che ha speso una cifra importante per averlo: non sta a me dire che l'Inter può diventare il suo trampolino di lancio". 

Già, ma se loro lo prestassero? 
"Di giocatori come Alessio ce ne sono pochi in Europa: salta sempre l'uomo, sa fare la differenza e, anche quando non è in giornata, riesce a portarsi via due, tre difensori. Però da qui a dire che Cerci sarà il rinforzo di gennaio dell'Inter ce ne vuole".

Beh piuttosto che andare al Milan... 
"Se fosse messo nella condizione di scegliere tra Milan e Inter, beh dovrebbe assolutamente venire all'Inter: ma già gliel'ho detto".

D'altronde non è un segreto che siate buoni amici. 
"A Torino con Cerci, Darmian e le rispettive compagne abbiamo vissuto anni davvero belli e intensi". 

Da ex, i fischi dell'Olimpico le hanno fatto davvero male?
"Sì, però mi sarebbe piaciuta ancora meno l'indifferenza: se mi hanno fischiato, vuol dire che mi hanno anche amato. Sicuramente è stata un'accoglienza che non mi aspettavo. Quei fischi però non cambiano la mia storia al Torino: un po' dispiace che il rapporto sia finito così, però capisco le strategie di alcuni personaggi...".

Cosa le ha insegnato quest'anno all'Inter? 
"Ad Appiano ho trovato una famiglia. Ed è stato molto importante per chi, come me, ha fatto un passo del genere. Prima avevo giocato tante volte a San Siro, ma non è la stessa cosa quando lo fai dopo essere sceso dal pullman dell'Inter: la maglia ti pesa un po' di più e quest'ansia la combatti solo con il lavoro e con l'abitudine a giocarci in uno stadio come San Siro".

Quest'Inter è da Champions? 
"Sì, ma non siamo i soli a puntare a quel traguardo. Siamo in tante a giocarcela dopo Juve e Roma. Loro fanno un campionato a sé perché hanno acquisito quella mentalità vincente che, per esempio, a noi ancora manca. Questa mentalità arriva solo grazie ai risultati: più vinci, più trovi fiducia e consapevolezza nei tuoi mezzi. Mancini ha ragione quando dice che noi ci spaventiamo alla prima difficoltà: una grande squadra, se prende gol, pensa subito a rispondere. Lui però ha la personalità e l'esperienza per poter insegnarci a diventare grandi". 

Tre gol in Europa League: manco fosse un centravanti... 
"E pensare che sono stato fuori per due mesi causa infortunio. Io in Europa non ho mai giocato e voglio restarci più a lungo possibile".

Quanto le è cambiata la vita col ritorno alla difesa a quattro? 
"Sono movimenti completamente differenti, ma conta soprattutto l'atteggiamento". 

Vidic dice che quello dei simulatori è uno dei problemi veri che ha il nostro calcio. 
"E ha ragione ma, più in generale, è un problema di cultura. In Italia su novantacinque minuti se ne perdono venti e paga lo spettacolo". 

Quanto è stato duro l'addio di tutti i senatori a fine stagione? 
"Sono andati via tanti capitani ed è difficile trovare giocatori di quel livello. Questo è un altro motivo per cui l'Inter ha problemi alla prima difficoltà. Il tempo comunque è dalla nostra parte: non avendo più leader tanto carismatici, ognuno deve dare qualcosa in più. Per compiere questo processo ci è venuta in aiuto la società che ha scelto Mancini, ovvero uno che leader lo è sempre stato, pure quando giocava".

Un processo lento che però i tifosi non sembrano capire. 
"Il tifoso ama e anche i fischi vanno accettati. Piuttosto bisogna far loro capire che diamo il 110% e che la maglia è sempre sudata a fine partita". 

Alla Nazionale ci pensa? 
"Sono io che devo... "portarmi" in Nazionale. La convocazione è il risultato del lavoro quotidiano all'Inter".

E alla Champions? 
"Beh, quella musichetta è davvero emozionante...". 

 

Sezione: Focus / Data: Mer 24 dicembre 2014 alle 08:30 / Fonte: Tuttosport
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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