Fresco 60enne, Evaristo Beccalossi, per tutti Becca, ha tracciato le tappe significative della sua carriera dentro e fuori dal campo ai microfoni di Assocalciatori.it: “Me la sono goduta, mi sono divertito, sognavo di giocare a calcio e ho sempre fatto quello che volevo”.

È bresciano e all’oratorio di San Polo divenne ambidestro.
“Adesso vedo tanti campi sintetici, molti bambini sembrano schizzinosi quando devono giocare su un campo in terra. Io ho imparato a calciare con entrambi i piedi allenandomi da solo, scambiando il pallone con un blocco di cemento”.

Esordì con le rondinelle, a 16 anni. 
“Giocavamo a Catanzaro, in Serie B. Al primo pallone toccato feci un tunnel a Gino Maldera. È il maggiore dei fratelli, mi aspettò al primo calcio d’angolo: “Non riprovarci disse, perché altrimenti ti spedisco a calci fino a Soverato…”.

Il mito iniziò la domenica pomeriggio del 28 ottobre 1979, fra pozzanghere e pioggia.
“Il Milan difendeva lo scudetto, si era appena appuntato al petto la stella e io glielo sfilai, con due gol a Ricky Albertosi. Di destro, mentre in genere segnavo di sinistro”.

E disse “Mi chiamo Evaristo, mi scusi se insisto”?
“Mai pronunciato quella frase. Il ritornello tuttavia divenne popolare, solennizzato anche dalla canzone di Mauro Minelli”.

Difendeva poco, però era impossibile da marcare nei giorni in cui era folgorato dagli dei calcistici.
“Penso di essere stato amato perché spontaneo. Quello che ero l’ho portato sul campo, con pregi e difetti”.

Mandava in porta con il pallone Altobelli e Muraro. Negli altri il pubblico di San Siro la mandava a quel paese.
“Come quella volta che sbagliai due rigori contro lo Slovan Bratislava, primo turno di Coppa delle Coppe. Due domeniche fa è capitato anche a Mbakogu, del Carpi, contro la Lazio”.

Fu come il precursore dell’uruguagio Alvaro Recoba. Nei test era l’ultimo.
“Il mio giorno preferito era quello di riposo, con bagni e massaggi”.

Nascondeva il pallone e lo faceva riapparire da un’altra parte.
“Imitavo Omar Sivori, da ragazzino. Dybala? È più svelto e prolifico e ha pure maggiore fisicità”.

Ora cosa fa?
“Sono presidente del Lecco, in Serie D. Da due anni arriviamo secondi, nel Girone B. Propongo un calcio diverso, per farlo restare a galla in un momento economicamente complicato, perché i tempi sono mutati. Le società vanno pensate come aziende, per raggiungere gli obiettivi”.

I blucelesti vantano tre campionati di A (negli anni ’60) e 15 cadetti, l’ultimo nel 72-73. Da dirigente è al debutto?
“Avevo esordito due stagioni fa, alla Berretti del Brescia, con Andrea Massa allenatore, ex Legnano. Ora mi preparo ai playoff”.

Ha mai provato a fare il tecnico?
“Non mi è mai piaciuto. Qui ho individuato persone in ogni settore della società, come presidente coordino tutto”.

Lecco ha 48mila abitanti e fra i capoluoghi di provincia della Lombardia precede solo Sondrio, sul piano calcistico.
“È una città molto stimolante. Il motto è “poche parole e molti fatti”. Servono progetti sportivi, speriamo di essere anche fortunati e salire presto in Lega Pro” .

Quanto ha speso?
“Il budget in Serie D può raggiungere anche cifre importanti, la società in precedenza aveva difficoltà a iscriversi al campionato. In mezz’ora sono allo stadio Rigamonti-Ceppi e allora sto costantemente dietro alla squadra”.

Lasciò il calcio a 35 anni, nel Breno (Brescia). È un “prezzemolino” della tv, con puntate persino locali, a Teleducato Parma…
“Nelle ultime stagioni sono spesso a Raisport, al Processo del Lunedì, e da tempo a 7Gold. Continuo ad andare in tv perché a livello di marketing è importante per la città che vado a rappresentare, come presidente”.

Cosa pensa dei dibattiti?
“Ogni opinionista negli studi deve ricordare che i protagonisti sono i calciatori, non è cambiato il copione. Negli ultimi anni però chi è seduto là talvolta si sente più importante dei giocatori e questo non mi piace. Vedo che sono tutti professori…”.

Ha ragione perché gente mai stata in campo che insegna il calcio agli allenatori. Ma lei come differenzia gli interessi?
“Gestivo la pubblicità, proprio a 7Gold, tramite la mia società, Capital, che per tanti anni era stata anche a Telelombardia. Ho un ufficio con dieci persone”.

Altro?
“Per 12 anni sono stato in Sony Italia, non solo sul marketing. Ho aperto anche dei Mediaworld, insomma ho fatto le mie esperienze lavorative, anche fuori dal pallone”.

È sposato con Danila, bresciana di 60 anni.
“Abbiamo una figlia, Nagaja, 34 anni, che lavora a Inter Channel. Lei ed io viviamo a Milano, io ho pure base a Brescia, da mamma Franca”.

È un binomio unico, padre e figlia volti televisivi, tanto più con il papà responsabile della raccolta pubblicitaria.
“In effetti è strano, non ricordo esempi analoghi. Avevamo iniziato assieme, a Telelombardia, con il direttore Fabio Ravezzani”.

Da grande che farà?
”Intanto sono felice di lavorare ancora, in tempi in cui tanti faticano. Spero di avere la fortuna di sempre, di occuparmi di quel che voglio”.

Sezione: Ex nerazzurri / Data: Lun 23 maggio 2016 alle 20:43 / Fonte: Assocalciatori.it
Autore: Redazione FcInterNews.it
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