Il calcio italiano è al punto più basso, più che degli ultimi anni, della sua intera storia. La questione calcioscommesse ha avvelenato ancora una volta il mondo pallonaro, incapace di trovare un equilibrio. Tutti sono in fermento, pieni di elettricità, pronti a scattare come molle non appena vengono stimolati. Se fosse davvero accaduto l'alterco (smentito da una nota della Figc) tra alcuni tifosi della Juventus e il procuratore federale Stefano Palazzi, avremmo rasentato il ridicolo e l'assurdo, tutti noi, protagonisti del mondo del pallone nostrano che affonda nel fango, parafrasando liberamente Franco Battiato nella sua splendida 'Povera Patria'.

Gli elementi affinché si possa realizzare un ritratto di un calcio, quello italiano, che dire poco tranquillo sarebbe un ottimistico eufemismo, ci sono. Ciò che ne viene fuori è un calcio italiano stressato e spossato, vissuto più nelle caserme e nelle aule di tribunale che nel rettangolo verde di gioco, con presidenti e addetti ai lavori pronti sempre a difendere i propri interessi, ad alzare i toni a sproposito, a fare caciara sbandierando la propria trasparenza, al posto di avere il buon gusto di ammettere i propri errori e di chiamare alla calma le proprie tifoserie.

In un calcio in cui tutti sono pronti a tirare acqua al loro mulino e a non assumersi le proprie responsabilità, spiccano le frasi di Daniele Portanova, voglioso di andare sino in fondo a questa infame storia e togliersi il marcio di dosso. Le sue parole, qui di seguito, parlano da sole:

"Non c'è mai stata una proposta per falsificare la partita. Ho sempre odiato questo tipo di cose, non ho mai scommesso. A mia moglie è stato lanciato un perizoma, mio figlio non voleva più andare a scuola. Marco (Di Vaio, ndr) è stato deferito per una chiamata che non ha mai ricevuto. Mi interessa solo il bene del Bologna. Ora sto prendendo gli schiaffi e Dio mi dà la forza di sopportare. Ma arriverà il momento di vendicare le lacrime di mia moglie e dei miei figli. Ho sempre pensato che un giorno di squalifica sarebbe stato ingiusto. Non ho mai pensato ai soldi, ma sempre e solo a onorare la maglia. Ho letto tante cose brutte, voglio capire perché mi sta piovendo addosso tutto questo. Sono il leader solo quando le cose vanno male, quando andavano bene era solo Di Vaio. L'unica cosa che dovevo ribattere a Marco è che tutti i giocatori si lamentavano che gli era stato fatto un contratto che ha destabilizzato l'ambiente, perché era stato fatto nel momento sbagliato. E questo gliel'ho detto in faccia, sotto la doccia. Quando vedrò Di Vaio a Roma cosa farò? Io andrò sempre a testa alta. Non ho paura di nessuno perché difendo la verità".

Non è dato sapere quale sia la verità sulla sua posizione, fino a prova contraria è innocente. Ma almeno il difensore del Bologna non ha scelto la strada più facile del patteggiamento o non cerca consensi. Si preoccupa per la famiglia, per la vergogna che gli tocca subire in questo momento. E non vuole rinunciare a ripulire la propria immagine. Chi si sente innocente, ne segua l'esempio. Chi sa di essere colpevole, invece, abbia buon gusto e lo ammetta.

Sezione: Editoriale / Data: Mar 31 luglio 2012 alle 00:00
Autore: Alberto Casavecchia
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