Chiunque porti l'Inter nel cuore tiene particolarmente a Gabriele Oriali. Anzi, chiamiamolo Lele, perché nel mondo nerazzurro lui è Lele per tutti. E da quando è andato via fino a queste ore, è anche un tutti per Lele. Un plebiscito, un'invasione, quasi più tifosi indignati per l'addio di Oriali che per quello di Samuel Eto'o. Un po' come se Massimo Moratti avesse lasciato andare un Diego Armando Maradona di 18 anni a cuor leggero. Il buon Lele si porta dietro una reputazione stratosferica, perché da quando ha lasciato la scrivania dell'Inter è iniziata l'inesorabile decadenza della Beneamata fino ai disastri dei giorni nostri. Un picco inarrestabile, da quel luglio del 2010 ad oggi. Da un Oriali che abbracciava José Mourinho ballando di gioia in mezzo al Camp Nou tre mesi prima, fino al triste Lele che fu mandato via dall'Inter.

Di certo, la sua cacciata è stata una brutta pagina. Un uomo che per l'Inter ha sputato sangue in campo e fuori poteva sicuramente essere omaggiato meglio, eppure le motivazioni che ci sono dietro alla separazione in sé (tralasciandone i modi) sono note: Oriali rappresentava la figura di unione tra campo e panchina oltre che uomo di fiducia sul mercato, quella che per Rafael Benitez invece doveva essere Amedeo Carboni. Di conseguenza, la scelta di Moratti di dare fiducia a Branca per l'area tecnica togliendo a Oriali quel ruolo a cui tanto teneva. A Lele fu offerta un'altra posizione, ma fu lui stesso a rifiutarla. Qualcuno si sta ancora chiedendo perché, in Corso Vittorio Emanuele.

Eppure, adesso sembra che senza Oriali non si possa più vincere. Nulla si può fare senza Oriali. Un (presunto) Messia del quale a tutti fa piacere ricordare le grandi operazioni sul mercato e l'ottimo lavoro nella congiunzione tra lo spogliatoio e la società, ma di cui nessuno rimembra invece gli scivoloni. Insomma, dopo un 2009 in cui Marco Branca aveva portato a casa Wesley Sneijder a 14 milioni, Lucio a poco più di 3.5, Eto'o in cambio di Ibrahimovic e 50 milioni di euro oltre alle operazioni Milito e Motta dell'anno antecedente, mandarlo via sarebbe stata una follia. E allora se fu Lele a rifiutare l'altro ruolo in società, qualche domanda dovrebbe porsela anche lui. Perché a proposito degli scivoloni, duole ricordare alcune operazioni dell'era Oriali come Pacheco, Sorondo, Brechet, Gresko, gli scambi di Seedorf e Pirlo con il Milan per Coco e Guly, Morfeo, Gamarra, Vivas, Helveg, Domoraud e così via. Alcuni di questi, affari anche costosi che fanno piangere il cuore di chi quell'Inter l'ha vissuta.

Questa però non è solo una critica ad Oriali, perché il Piper ha tutte le ragioni del mondo quando si dice deluso per il modo in cui è stato mandato via dall'Inter e quando manda stoccate all'attuale dirigenza, che ha definito "poco presente" in un momento difficile. "Nessuno ci mette la faccia", dice Oriali con il favore di un popolo, quello nerazzurro, che lo acclama come fosse un vero e proprio Messia. Forse è meglio ricordarlo come un grandissimo, un uomo che sicuramente servirebbe tantissimo all'Inter di oggi per quanto rappresentava nel proprio ruolo, ma che non ha fatto solo capolavori. Perché accusare adesso il solo Branca e dimenticare gli errori degli altri si chiama ingiustizia.

Il dirigente di Grosseto ha le sue colpe per la crisi attuale, ma ha anche tanti meriti per i trionfi del passato. Così come li ha Oriali, che però ha dietro di sé un seguito clamoroso quanto meraviglioso di tifosi. Inutile negarlo, una figura come Lele all'Inter manca, eccome. Ma pensare che possa essere lui a risolvere i problemi, come testimoniano gli esempi, è un azzardo. Nel ritorno di Oriali speriamo tutti, ma credere che con l'avvento di Lele tutto torni magicamente come prima rischia di essere un terribile boomerang. Per non distruggere altri miti, cristallizziamo il passato e speriamo nel futuro, magari anche con Oriali. Ma ricordandoci che i Messia sono altri.

Sezione: Editoriale / Data: Sab 25 febbraio 2012 alle 00:01
Autore: Fabrizio Romano
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