La grande domanda che il mondo del calcio si pone ai tempi del Covid-19 è una e una sola: si riuscirà a portare a termine la stagione 2019/20, momentaneamente bloccata da una pandemia globale? A deciderlo sarà il virus, ma anche i vari governi e le varie Federazioni. Negli ultimi giorni il Comitato Esecutivo UEFA si è riunito in videoconferenza: entrambi gli scenari esaminati dal gruppo di lavoro sui calendari “prevedono che il calcio domestico inizi prima delle competizioni UEFA per club, con uno che cerca di condurre le competizioni in parallelo e l'altro per completare le partite nazionali prima di ricominciare le partite UEFA in agosto”. L’obiettivo è quello di arrivare al traguardo, quindi. Virus permettendo. Perché in cima alla lista delle priorità c’è la salute di tutti, anche “dei giocatori, degli spettatori e di tutti coloro che sono coinvolti nel calcio e nel pubblico in generale”, che “deve rimanere la preoccupazione principale in questo momento” si legge nel recente comunicato del massimo organo calcistico europeo, che precisa anche come le linee guida riflettano il principio secondo cui "l'ammissione alle competizioni UEFA per club si basa sempre sul merito sportivo".
Gabriele Gravina, presidente della Figc che non vuole essere “il becchino del calcio italiano”, ha seguito l’invito della Uefa annunciando di “voler fissare per inizio maggio la riunione del Consiglio Federale nella quale portare in approvazione le norme sulle licenze nazionali, unitamente ai termini di tesseramento per la prossima stagione sportiva”. L’incontro nella classica call-conference di giovedì 23 aprile si è incentrata “sull’aggiornamento dell’impianto regolamentare che terrà conto delle contingenze emergenziali, senza però derogare ai principi di stabilità del sistema professionistico, e che verrà finalizzato nell’incontro già fissato per il prossimo 30 aprile. Per quanto riguarda invece la ripresa dell’attività, è intenzione del presidente Gravina adottare nelle prossime ore, d’accordo con tutte le componenti federali, una delibera per posticipare al 2 agosto la fine della stagione sportiva 2019/2020 - si legge nella nota della Federcalcio -. Tale determinazione verrà assunta nel pieno rispetto delle raccomandazioni ricevute dalla FIFA e dalla UEFA, nelle more delle decisioni del Governo e del necessario approfondimento che leghe e AIC faranno in tempi brevi per la definizione del prolungamento dei contratti in scadenza al 30 giugno”.
Il campionato italiano, dunque, potrebbe giungere al termine a inizio agosto, mese che sarà poi interamente dedicato alla disputa delle coppe europee, Champions ed Europa League. Questo il piano che tutti si augurano possa arrivare ad effettiva applicazione, soprattutto perché vorrebbe dire che il Coronavirus è stato debellato dalla società. Ma in un percorso fatto di inevitabili incertezze, il calcio pensa di andare comunque avanti tramite rigidi protocolli medici che prevedono test sierologici, tamponi, gruppi a scaglioni nei ritiri delle squadre e centri sportivi blindati. Basterà? "È impensabile riprendere alcune attività durante il lockdown, poi la riapertura è una decisione politica, dal punto di vista tecnico posso dire che il calcio, come altri sport, comporta un contatto diretto tra persone. C'è la necessità di controlli molto stretti su un numero di persone molto ampie, ci sono 22 giocatori in campo e intorno un numero di 200 persone. I controlli che si dovrebbero fare, a carico delle squadre o della Figc, dovrebbero essere fatti a scadenze molto strette" il fresco pensiero di Gianni Rezza, epidemiologo, nel corso della conferenza stampa dell'Istituto Superiore di Sanità di ieri pomeriggio.
Ci sono tante domande che è giusto porsi. A partire dalle condizioni fisiche che avrà chi, come Paulo Dybala, Dusan Vlahovic o Manolo Gabbiadini (giusto per citare qualche caso del calcio nostrano) è risultato positivo al virus fino ad arrivare a quelle del resto dei giocatori, costretti ad allenarsi in casa da diverse settimane senza sentire il profumo dell’erba e il contatto con il campo; dai ritmi alti necessari per la chiusura della stagione (gare ogni tre giorni) e le elevate temperature estive fino al pericolo concreto che un nuovo caso di Covid-19 possa presentarsi di nuovo anche nel calcio (cosa fare a quel punto?); dal ‘dove si giocherà’ (si è parlato perfino dell’ipotesi centro-sud, escludendo le ‘zone rosse’) al ‘come si giocherà’, assodato il fatto che eventualmente si andrà giocoforza avanti a porte chiuse. E questo è un dettaglio da approfondire.
Riavvolgendo il nastro di qualche settimana, precisamente a domenica 1 marzo, il presidente della Lega Serie A, Paolo Dal Pino, evidenziava che “venerdì (28 febbraio, ndr), l’ad De Siervo e io abbiamo proposto all'Inter di spostare la gara contro la Juventus al lunedì sera per disputarla a porte aperte. L'Inter si è rifiutata categoricamente di scendere in campo, si assuma le sue responsabilità e non parli di sportività e campionato falsato" le parole che venivano riportate da Gazzetta.it. "Marotta rappresenta le esigenze dell'Inter, io tutelo gli interessi generali di tutta la Serie A, che purtroppo sconta quotidiani conflitti di interessi legati a ciascuna squadra - aveva poi aggiunto -. Io devo promuovere il campionato italiano e la sua immagine nel mondo, trasmettere gare a stadi vuoti sarebbe stato un pessimo biglietto da visita per il Paese. La decisione è mia per statuto, ma i club coinvolti sono stati sentiti telefonicamente, per cui sappiamo bene le posizioni di ognuno, difficilmente conciliabili. Noi agiamo con senso di responsabilità per tutelare i tifosi e il diritto di tutti ad assistere alle partite, compresa l'esigenza dei broadcaster di trasmettere immagini di stadi pieni e festosi. L'invito che faccio a tutti è di ragionare come Serie A, non individualmente".
Proviamo a tradurre. Poco più di un mese fa, giocare a porte chiuse con il Coronavirus che si affacciava prepotente in Italia e “trasmettere gare a stadi vuoti sarebbe stato un pessimo biglietto da visita per il Paese”; ora, invece, con il virus presente nel Belpaese e da combattere una volta per tutte (e per tutti), con migliaia di contagiati e centinaia di decessi al giorno, si studiano le strategie per portare avanti un campionato già di per sé compromesso ed inevitabilmente diverso dai soliti. Rigorosamente a porte chiuse, magari in campi neutri e con giocatori presumibilmente non al top della forma. Sarebbe comunque uno spettacolo? Nei ragionamenti dei vertici del calcio esistono (e resistono) tante contraddizioni. Giusto e doveroso pensare ad una ripartenza, spinta principalmente da motivi economici mai celati dai diretti interessati. Ma che non sia un obbligo: senza un anno di calcio non è mai morto nessuno, per il virus invece sì. Quindi attenzione a come si procederà, perché se si rifaranno gli stessi errori di mesi fa (quando si ragionava come se il virus contagiasse le persone in base alla Regione, al CAP o al Prefisso telefonico), si sbaglierà di nuovo di grosso e si avrà una ricaduta ancora peggiore. E un qualsiasi Piano B diventerebbe semplicemente l'ennesimo Piano Barzelletta.
Autore: Stefano Bertocchi / Twitter: @stebertz8
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