L’Allianz Stadium resta un tabù per l’Inter, che ancora una volta esce senza soddisfazioni dalla casa dell’acerrima rivale, anzi con tanto, tantissimo amaro in bocca. Lo scenario configuratosi al 45esimo di Juventus-Inter va in modalità copia e incolla anche quando Colombo fischia tre volte e fa calare il sipario su un derby d'Italia vestitosi nuovamente di bianconero. L'Inter crea, fa possesso, costruisce, ma non gestisce sempre bene i momenti (Chivu dixit), prende gol per via di errori un tantino blasfemi, e ancor di più, trova la porta meno di quanto crea, troppo poco rispetto alla mole di gioco sostenuta e ai tentativi verso la porta di Di Gregorio. E come da tradizione nel primo tempo i milanesi subiscono due tiri in porta e due gol senza rendere lo stesso trattamento agli avversari, graziati perennemente dai nerazzurri che perdono attimi di gioco e lucidità negli ultimi venti metri. Il secondo tempo è forse ancora peggiore, perché se nei primi 45 giri di orologio la spiegazione è rintracciabile nella comprensibile stanchezza di alcuni interpreti quali Lautaro Martinez e nel mancato giusto cinismo negli ultimi metri verso la porta avversaria, è nei secondi 45 e rotti che si concretizza il più incomprensibile dei picchi di down di questa squadra.
Se sul primo gol incassato, già al primo quarto d’ora, le dosi di colpevolezze sono ben distribuite su vari attori in causa, Lauti in primis che rilancia male un pallone che porta ad una serie di errori e al tiro di Kelly che supera Sommer, nel secondo, arrivato dopo otto minuti dal pari firmato da Calhanoglu, lo svizzero ci mette tanto del suo e quella di Yildiz riesce a sembrare una prodezza più grande di quel che è stata. In ritardo e lento, lo svizzero non riesce a bloccare il turco e la strada dei milanesi si mette in una salita che nella ripresa riescono a scalare, con fatica, ma fino alla vetta. Gol del pari ancora per mano del più discusso dell’ultimo periodo, ovvero il turco ex Milan, che per la seconda volta in giornata fa esultare la lingua di stadio a tinte nerazzurre. La reazione che Chivu si aspettava finalmente si consuma e non solo in fatto di atteggiamento ma concretizzandosi su un tabellino che cambia ancora poco più di dieci minuti dopo con la rete di un altro dei volti più discussi del match (il cui motivo lo affronteremo più avanti), Marcus Thuram. Palla inattiva e gol: il Tikus svetta di testa da corner di Dimarco, entrato bene dalla panchina, e 3-2 per l’Inter che ribalta il tavolo del match e fa ben sperare i poco più di 2000 interisti sugli spalti. Ma la beffa è dietro l’angolo e otto minuti bastano alla squadra di Tudor, sin lì più dedicati a difendere il risultato, a piazzare la zampata ferale mostrando per la prima volta in maniera prorompente e quasi definitiva, almeno in questo confronto, di essere superiori agli avversari. Ci mettono sette minuti i bianconeri a trovare il pari del 3-3 e se nel primo tempo un turco risponde ad un altro turco, nel secondo è la volta del botta e risposta Thuram-Thuram. A Marcus risponde Khephren ed è ancora equilibrio al derby d’Italia. Un equilibrio che i nerazzurri fanno immediatamente sembrare precario al punto tale che il pari dura pochissimo: il 3-3 si tramuta velocemente in 4-3 con la commozione del neo entrato Adzic che fa esplodere lo Stadium a partire dalla panchina che si lascia andare in un’esultanza comprensibilmente euforica.
Ad esplodere però è anche il cuore degli interisti, ghiacciati dall’ennesimo errore di serata di Sommer ancora una volta inefficace sul giovane montenegrino che ai microfoni fatica a contenere l’emozione. Ed è proprio questo il punto: tornare su quello che questo risultato lascia al di là dei numeri, classifiche e cronaca; perché se è vero che ad oggi il tempo non dà al -6 rispetto a Napoli e Juventus il valore di una sentenza definitiva, altrettanto vero è che qualche allarmante mezzo verdetto inizia inevitabilmente a piombare sulle teste di Viale della Liberazione. Più di Chivu, a tornare a Milano con più di qualche pensiero in testa e obbligo di riflessione sono gli uomini del The Corner che all’indomani della seconda sconfitta consecutiva in campionato dovranno per forza di cose domandarsi quante responsabilità ci siano già nei primi scricchiolii stagionali e quanto peso avranno le decisioni prese nei mesi addietro sulla stagione. Se al tecnico ci si è limitati a domandare se il problema sia di natura mentale o meno e come pensa di poterlo risolvere, ad Ausilio e Marotta si dovrebbe chiedere quanto funzionale oggi sarebbe stato Ademola Lookman, oggi all’ennesimo capitolo di scontro con l’Atalanta, in una gara che ha incastrato il tecnico romeno in un crossover tra il vecchio gioco inzaghiano e una nuova idea di calcio strozzato da una rosa inadatta a svilupparla. Tra fatiche post-Nazionali, poco (o quasi nullo) tempo per la preparazione e interpreti da adattare, Juventus-Inter finisce con il successo di una compagine dominata per quasi tutto il tempo da un’avversaria che raccoglie zero a dispetto di una buona prestazione che frutta solo frustrazione e interrogativi.
Domande e riflessioni obbligate a Porta Nuova ma anche ad Appiano Gentile dove per ovvi motivi torneranno in mente le forti parole di sfogo del capitano nel post-Fluminense, quando senza giri di parole Lautaro ha tirato fuori la più sincera delle sue doti, ovvero la leadership, non mandandole a dire ai compagni. Nessun nome ma tante frasi da ascoltare e far riascoltare. Per quanto lungi dal voler riesumare e rivangare crepe del passato, e parzialmente d’accordo sul taglio corto compiuto da Chivu in conferenza in merito all’argomento, non possono non riecheggiare quelle tanto discusse frasi dell’uomo con la fascia al braccio nella lontana Charlotte, dove la richiesta a gran voce era la serietà, l’impegno, l’abnegazione e l’amore. Elementi che non si possono rimproverare a Marcus Thuram, anche ieri in gol, ma ancora forse troppo ingenuo (o troppo leggero) nel lasciarsi andare in scivoloni come quello compiuto nell’immediato post 4-3 della Juventus, durante il quale è stato pizzicato dalle telecamere ridere di gusto col fratello Khephren, autore peraltro del 3-3. Certo è che se di emozioni parliamo non si può non tener conto del sogno nel quale i due fratelli sono immersi in serate come queste, ma altrettanto troppo difficile da ignorare risulta la leggerezza della quale un professionista di questo calibro si macchia in una situazione tale e in una partita dal valore forse fin troppo sottovalutato negli ultimi tempi. E allora al The Corner come ad Appiano nessuno psicodramma all’indomani di una terza giornata che vede i nerazzurri a 3 soli punti in classifica, ma sicuramente tante, troppe domande da porsi e una necessità, che comincia a diventare impellente, di trovare risposte.
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