Il calcio è business. Soldi, trasferimenti, plusvalenze. Sponsorizzazioni e cambi di maglia. Ma il motivo per cui parliamo del gioco più seguito in Italia e nel mondo è solo uno: l’amore per la propria squadra del cuore. Quella passione trascinante, prorompente ed esaltante trascina e trasporta i tifosi a seguire senza e comunque il proprio team. Gli interisti lo sanno bene. Nel corso della gloriosa storia nerazzurra sono state toccate vette inarrivabili per chiunque nel Bel Paese, ma anche anni buoi. Certo, i peggiori anni della Beneamata non hanno nulla a che vedere con quelli di ogni altra squadra in Italia, dato che la Serie B è qualcosa di sconosciuto solo al Biscione. Ma il saper soffrire e il voler stare sempre e comunque al fianco dei propri beniamini – o di chi quantomeno indossa quella prestigiosa maglia – ha fatto, fa e farà sempre parte del costume dell’interista. Come la riconoscenza per chi ha contribuito in modo determinante alle vittorie nerazzurre. Vedi quella per José Mourinho.

Non serve che ribadisca le sue capacità, né tanto meno la bravura con cui ha plasmato una squadra fortissima in quella che, palmares alla mano, è la più vincente – in una singola stagione – della storia del calcio italiano. Con quel Triplete che rimarrà eterno e immortale, quasi un’epopea da tramandare alle generazioni future. Io allora ero un giovanissimo giornalista e ricordo con trasporto quell’annata pazzesca. Poi però, per migliorare le proprie capacità e acquisire esperienza, una volta che Mou firmò per il Real, venni mandato per tre anni di fila a Madrid, per seguirne le gesta. Proprio perché si era ancora affamati delle delle sue perle giornalistiche. Ero il solo cronista inviato ogni 10 giorni/due settimane alle partite dei Blancos e spesso e volentieri quando il vate di Setubal si pronunciava sui nerazzurri, era perché ero io a stressarlo. Per buona pace dei colleghi iberici che di me - e degli altri due colleghi italiani che invece vivevano proprio in Spagna - avrebbero anche fatto a meno. O meglio, avrebbero fatto a meno delle continue domande sull’Inter e sul Mou nerazzurro, un costante vulcano di spunti e di titoli. E a distanza di dieci anni noto che da questo punto di vista nulla è cambiato.

Nel giorno della sua presentazione a Roma José ha lanciato frecciatine e vere mine, con destinatari precisi e per motivi diversi. Sicuramente ha ragione quando sostiene che all’Inter lui ed Herrera non possano essere paragonati a nessuno nella storia di un club. Conte avrebbe potuto, chi lo sa, aprire una striscia di successi incredibili. Ma di Scudetto ne ha vinto uno. Sicuramente più difficile di quello di Mou. Ma tra un Triplete e un Tricolore la differenza esiste, eccome. José fa benissimo a togliersi la pressione sui successi imminenti non volendo parlare di titoli, quelli di cui invece aveva eccome posto l’accento in epoca interista: tutti ricorderanno gli zero tituli di Roma, Milan e Juventus. Ed è pure corretto a mio avviso mettere sottolineare u un eventuale progetto permanente, operazione sicuramente non semplice, considerando anche l’ingaggio oneroso e il c.v. del mister lusitano, che non si accontenterà mai di piazzamenti da Europa League o Conference League nel prossimo triennio.

Certo, quando il discorso si è spostato sugli stipendi avrebbe potuto sottolineare come la famiglia Zhang ha elargito, seppur in ritardo, tutto il compenso dovuto ai propri tesserati, a differenza ad esempio della Roma dove invece c’è stata una trattativa tra la società e i giocatori, con gli atleti che alla fine hanno rinunciato a tanti soldini. Ma fa nulla. Qualsiasi futura dichiarazioni, più o meno grave, non cambierà il pensiero che ho del mister: il miglior tecnico della storia del calcio moderno. Quello che sarebbe potuto tornare in nerazzurro, ma la società, pare, gli preferì Conte. E con Antonio, l’Inter è tornata proprio a vincere. Mentre Mou, forse un po’ seccato da quel no, non riusciva a mantenere le proprie aspettative a Londra. D’altra parte lui quando era a Madrid, per sminuire la figura di Pellegrini, disse che se avesse lasciato le Merengues non avrebbe mai allenato una squadra come il Malaga.

Chissà se oggi, alla guida della Roma e non dei nerazzurri, dopo pure che Ancelotti è stato nuovamente chiamato da Perez, e non allena nessuna delle tre formazioni storiche italiane, non abbia cambiato idea. E voglia tornare indietro nel tempo per cancellare quanto affermato. Anche con visioni diverse, José oggi sarà un rivale, ma mai un nemico. E nessuno mi farà cambiare opinione su di lui, neanche l’attuale Mourinho.
Sezione: Editoriale / Data: Ven 09 luglio 2021 alle 00:01
Autore: Simone Togna
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