I fasti estivi sono un lontano ricordo. I crediti sono finiti e le risposte non più rimandabili. I primi sei mesi di Radja Nainggolan all'Inter possono andare in archivio semplicemente come incompleti. Quindi anche difficile da giudicare. Tutti si aspettavano altro, chiaro. Ma prima della sospensione decisa dalla società per motivi disciplinari, a frenare le prestazioni del centrocampista belga ci avevano pensato i guai fisici. Utili a supportare le tesi di chi non ama l'acquisto dei trentenni soprattutto quando non conducono, si dice, una vita esemplare fuori dal campo.

E il campo è proprio il luogo preferito da Nainggolan per dare risposte e scrollarsi di dosso gossip, accuse, tensioni e aspettative. Questo dovrà essere il suo unico terreno di caccia, il suo solo pensiero nel 2019. E allora ecco che appunto il carico, anzi il fardello, che il Ninja si è messo sulle spalle in questi mesi tra prestazioni deludenti, problemi muscolari, ritardi agli allenamenti e provvedimenti disciplinari (a cui si sono aggiunte, in ultimo, le voci - da lui ovviamente smentite - sulla presunta infedeltà e sulla presunta crisi matrimoniale) possono essere la molla giusta, la scintilla capace di riaccendere talento e grinta.

Nainggolan a Roma era un idolo indiscusso dei tifosi, il simbolo di un ambiente che vive e si esalta tra mille contraddizioni, la rappresentazione concreta della capacità di cadere e rialzarsi, di fallire e risorgere. Il suo amore per la città, per la maglia, per la squadra e la sua gente ne avevano fatto una bandiera quasi al pari dei Totti e dei De Rossi. Un condottiero del popolo giallorosso che aizzava le folle coi gol, le giocate, le urla e anche con qualche dichiarazione rubata contro la Juve o la Lazio di turno che lo rendevano, se possibile, ancora più amato.

Tanto che poi nessuno lo metteva in discussione per la vita sregolata o gli eccessi di un capodanno: all'epoca la società giallorossa lo aveva punito per quei video pubblicati e rimossi dai social che imbarazzavano, e non poco, la proprietà americana. Ma la Roma vera, la gente di Roma, il tifo di Roma, il cuore di Roma e il calore di Roma non hanno mai minimamente dubitato del Ninja. Forte proprio perché fatto così, con tutti i suoi eccessi, con tutte quelle cose da farsi perdonare sul campo. Forse è stato tutto questo a renderlo, in un certo momento, il centrocampista più forte del campionato.

Il fatto di essere uno che deve correre e sudare per dimenticare e far dimenticare una serata in discoteca o una dichiarazione politicamente scorretta (a volte anche molto scorretta), di essere uno che viene amato nonostante tutto, quasi a prescindere, tanto da sentire poi intimamente di dover ripagare tutto questo coi gol e le vittorie, il fatto di essere uno che se ti toglie 50 poi ti rende 100, il fatto di essere uno di cuore, passionale molto più di quanto non senta di essere professionista: ecco tutto questo ha reso Nainggolan il giocatore fortissimo visto nella Capitale. Nonché il motivo per cui l'Inter ha investito 24 milioni più Santon e Zaniolo per aggiudicarsi un trentenne.

Da Roma lui se n'è andato perché la società gli ha riferito chiaramente di voler fare a meno di lui e anzi di volerlo fare facendo cassa finché erano in tempo. Ma il suo cuore e quello dei tifosi, che funzionano in modo diverso, hanno impiegato, e forse stanno ancora impiegando, molto più tempo per accettare tutto ciò. Il sorriso un po' forzato con cui si è presentato a Milano nascondeva in realtà più la voglia disperata di farsi rimpiangere. E l'incapacità di dimenticare chi lo ha amato a prescindere da tutto. A Milano è stato accolto come un top player e in pochi si sono permessi di metterlo in discussione almeno fino a novembre.

Quando i continui stop, i pochi gol e l'impossibilità di fare la differenza soprattutto in Champions hanno iniziato ad avere un peso non più ignorabile. Forse non è sbagliato dire che se l'Inter non è agli ottavi di Champions, è perché non ha avuto, nelle due partite decisive, l'uomo che proprio in quelle gare, vista esperienza e qualità, doveva essere il trascinatore. E che adesso non ha dalla sua parte quel legame con tutto l'ambiente che, in un certo senso, può proteggerlo o comunque continuare a farlo sentire un leader contro tutto e tutti. Ora è in discussione, punto. Come forse mai prima nella sua carriera.

Nella sua carriera il punto più alto lo ha raggiunto nel 2016/2017, quando Spalletti inventò per lui (che era quasi sempre stato mediano o mezz'ala) il ruolo di trequartista incursore che lo portò a 14 gol stagionali nonché a essere il romanista con più presenza di tutta la stagione. La chiave stava, oltre che nel suo dinamismo, nella presenza vicina di Salah e Dzeko: l'assetto di quella Roma sfruttava la velocità dell'egiziano e l'abilità nel gioco di sponda del bosniaco in modo che Nainggolan potesse fiondarsi, con o senza palla, negli spazi aperti dai movimenti dei compagni. All'Inter avrebbe dovuti avere, dunque, un ruolo da trequartista diverso, rispetto, ad esempio, a quello ricoperto lo scorso anno da Rafinha, bravo nel creare combinazioni strette con passaggi corti e meno portato all'inserimento in area, la caratteristica principale che ai nerazzurri mancava e serviva.

E che avrebbero dovuto trovare proprio in Nainggolan, capace di allungare la squadra e diventare letale attaccando lo spazio che gli si apre davanti. Eppure queste sembrano essere proprio le caratteristiche dell'Inter, poco portata a manovrare l'azione e teoricamente più efficiente nel ripartire veloce. L'evoluzione di Icardi, del resto, lo sta portando sempre più spesso fuori dall'area a rendersi disponibile per quelle sponde e per quel gioco "alla Dzeko" che può "spingere" in area il Ninja. Mentre il ruolo alla Salah, con le dovute proporzioni, può essere ritrovato nelle folate di Politano o nella recuperata forma di Perisic.

A Milano Nainggolan non gode (più) di consensi a prescindere: il consenso deve guadagnarselo unicamente con le prestazioni sapendo che c'era già chi pretendeva una sua cessione a gennaio. Ma se è vero che quanto visto fin qui è troppo brutto per essere vero e che uno così a fare la figura del "finito" non ci sta, è anche vero che ora tocca anche a Spalletti, che lo ha voluto a tutti i costi pur sapendo che "mette 3-4 cose davanti al calcio", aiutarlo mentalmente e tatticamente. Spazio e tempo ci sono. Lo scorso anno di questi tempi, ad esempio, quasi nessuno sospettava che Cancelo fosse uno dei migliori terzini al mondo. Un girone di ritorno equivale a una vita.

Sezione: Editoriale / Data: Dom 06 gennaio 2019 alle 00:00
Autore: Giulia Bassi / Twitter: @giulay85
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