Il post Inter-Atalanta ha lasciato strascichi molesti, nonostante una sconfitta scampata e un girone d’andata sontuoso. C’è questa dimensione della semplificazione, inarginabile e inestirpabile nella quale l’opinione pubblica affonda i suoi colpi esaltando una squadra, mortificandone l’altra e amplificando un singolo episodio fino al punto da rendere impossibile esprimere opinioni sensate.

La narrazione di un Atalanta venuta a San Siro a insegnare calcio, fermata da una decisione arbitrale che avrebbe dato rigore ed espulsione a Lautaro Martinez è piaciuta talmente tanto che anche molti interisti hanno fatto fuoco amico, auto flagellandosi in un processo di demolizione di una squadra definita da loro medesimi “mediocre”.

Le prime ore successive al deludente pareggio in casa con l’Atalanta hanno portato a critiche verso Antonio Conte, accusato di aver messo Politano e non Sanchez e di lamentarsi troppo per le assenze.

La morale è che parlare di calcio talvolta è inutile perché se si oppone un’analisi la risposta ministeriale è “chi vince ha sempre ragione”, in questo caso “chi pareggia meglio”. I concetti che derivano da questa ultima partita dicono che l’Atalanta nel complesso ha giocato meglio per motivazioni che Conte ha individuato bene.

I bergamaschi sono allenati da Gasperini da quattro anni e hanno un progetto ben definito che li ha portati ad essere anche una delle più interessanti realtà europee. Conte allena l’Inter da sei mesi e sta tentando di portare un progetto a compimento nel più breve tempo possibile, tentando non solo di costruire una squadra armonica ma anche una mentalità vincente in un ambiente che da negli ultimi 8 anni si era abituato a lottare per raggiungere, al massimo, l’ultimo posto utile per la Champions League.

Per poterlo fare ha bisogno di spingere sull’acceleratore ad ogni livello e sollecita dal primo giorno la squadra e i dirigenti a raggiungere in fretta obiettivi e una determinazione inusitati. Il tifoso dovrebbe essere contento che un allenatore parli quasi in sua vece, per spronare il club a raggiungere i traguardi a cui aspira per primo.

Nel gennaio dello scorso anno, quando mancava poco più di un mese all’inizio del caso Icardi, l’Inter si accontentava di Cedric e oggi, nel mercato di gennaio, sta acquistando due usati sicuri come Ashley Young e Olivier Giroud e tentando di prendere almeno uno tra Eriksen e Vidal, due totem del centrocampo. Tutto questo mentre l’Inter sta partecipando alla lotta scudetto come outsider di lusso per la prima volta dal 2011, giocandosela con la Juventus, molto più attrezzata e una Lazio che vince da 10 gare consecutive (con una dose di buona sorte tra l’altro).

L’Inter nel primo tempo con l’Atalanta ha giocato bene e contenuto l’organizzazione di gioco bergamasca permettendo solo due azioni pericolose (una delle quali ottenuta dopo un fallo su Lukaku a centrocampo). Nel secondo i problemi inerenti alla rosa con poche soluzioni sono emerse prepotentemente. Sensi, alla sua prima apparizione come titolare dopo mesi, è stato sostituito da Borja Valero, Gagliardini non ne aveva più ma correva per dare una mano a Brozovic, isolato nel ruolo di playmaker nel deserto.

Abusato fin dal primo tempo il lancio lungo verso Lukaku o Lautaro, nella ripresa è diventato l’unica soluzione per uscire dal pressing della squadra di Gasperini, con il risultato di vedere l’attaccante belga triplicato in marcatura, costretto a modalità gladiatorie per spuntarla sui difensori bergamaschi. Lukaku è stato determinante in una gara che lo ha comunque esaltato nel ruolo di portaerei, in una lotta impari dove ha sbagliato qualche controllo ma soprattutto trovato progressioni esaltanti e fatto sponde mal sfruttate dai compagni. Dovrebbe essere evidente che se l’Inter di quest’anno gioca con squadre forti e non ha a disposizione diversi titolari va in affanno. Senza D’Ambrosio, Asamoah, Sanchez (non ancora pronto anche se in panchina), Skriniar, Barella e un Sensi a mezzo servizio è scontato e logico non avere armi a disposizione per tutti i 90 minuti. Lo dimostrano anche le partite col Dortmund, la Roma, il Barcellona e la stessa Juventus che aveva beneficiato dell’uscita di Sensi dopo nemmeno mezz’ora.

Se dovesse davvero arrivare Eriksen sarebbe un grande colpo con una forte perplessità per l’immediato. La mia stima per il danese è forte ma anche il disappunto per una stagione in cui ha giocato male nelle poche partite in cui è stato impiegato, oltre a quelle in cui è subentrato. Voleva andarsene al termine della scorsa stagione ma la sua apatia si è trasmessa anche ai compagni del Tottenham ed è difficile che in nuovo campionato che non conosce, con un tecnico che deve inserirlo in un contesto tattico ritrovi l’energia nell’arco di un amen. Temo solo che, se non dovesse integrarsi subito, chi non lo conosce lo abbatta con la solita approssimazione. Prima (gennaio) o dopo (giugno) meglio averlo.
Amala.

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Sezione: Editoriale / Data: Lun 13 gennaio 2020 alle 00:00
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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