Tommaso Berni, Davide Santon, Andrea Ranocchia, Danilo D'Ambrosio più il tecnico Roberto Mancini. Sono questi gli unici italiani nella rosa dell'Inter, oggi formata da 27 elementi se si escludono i baby Federico Dimarco e Stevan Popa. Un dato clamoroso per una società della Serie A, e non importa se il nome (abbastanza chiaro) è FC Internazionale. No, assolutamente. Perché stiamo pur sempre parlando di un grandissimo club italiano che dovrebbe essere anche un esempio. E quindi questa statistica è a dir poco incomprensibile. Semplicemente un raro, anzi, unico, incredibile, grandissimo disastro. Ma per favore, non scherziamo...
Questa patetica considerazione torna di moda ormai da anni e in modo incredibile. Puntuale come un orologio svizzero, antipatica e non poco. Ebbene sì, perché basta - vi prego - aggrapparsi a questo dato in un calcio e in un mondo internazionale come quello odierno. Queste righe potrebbero attirare qualche critica e antipatia nei miei confronti, ma giuro che ogni qual volta sento parlare di un'Inter 'poco italiana' rido, sorrido oppure mi innervosisco. Perché ormai l'Italia (quella del pallone compresa, questo è ovvio) è diventata la patria del luoghi comuni, delle mode ridicole e della folla che va seguita in tutto e per tutto, anche andando contro alle proprie idee e convinzioni.
Personalmente, da osservatore di casa Inter, do peso nullo a tutto ciò, che nell'Inter è abitudine (aggiungo piacevole) ormai da tanto tempo e numerose stagioni. Quindi per quale motivo la gente continua ad aggrapparsi a questo? Per i settori giovanili? Per il poco legame con il Paese? Perché 'bisogna fare così'? La realtà italiana è onestamente triste, e sicuramente un solo editoriale non basterebbe per spiegare i motivi che hanno portato a questa situazione. Uno dei più importanti è tanto semplice quanto scontato: i nostri giovani con qualità rare sono veramente pochi, e talvolta costano troppo per i nostri club (vedi Marco Verratti). Un paradosso, non trovate?
Ad oggi faccio fatica a trovare interpreti in grado di fare la differenza nelle big italiane, e la realtà dice che Jeison Murillo (tanto per fare un esempio), un perfetto sconosciuto in estate, è ora uno dei più forti centrali in circolazione, a scapito - guarda caso - proprio di Andrea Ranocchia, quello che sole poche stagioni fa era considerato il miglior centrale italiano in prospettiva, scomodando talvolta paragoni molto importanti. Un solo esempio per dire che allo stato attuale delle cose lo straniero è nettamente più forte dell'italiano, e non venite a raccontare che uomini che giocano titolari nella Nazionale di Antonio Conte lo sarebbero anche nell'Inter.
Eccezion fatta per Alessandro Florenzi, lo stesso Verratì, Andrea Pirlo (anche se la carta d'identità qualche piega comincia a mostrarla) e Claudio Marchisio, nessuno degli altri azzurri avrebbe un ruolo da protagonista nella squadra del Mancio. E quelli sopracitati rappresentano una vera rarità, grandissimi giocatori ritenuti assolutamente incedibili dalle rispettive società. Per il resto, invece, il nulla o quasi. E quindi ben vengano i Joao Miranda, i Gary Medel e gli Stevan Jovetic, sicuramente superiori alla media attuale del calciatore italiano.
A tutto questo si può anche aggiungere il poco coraggio dell'intero movimento tricolore nel credere con convinzione nei giovani per poi lanciarli in Prima Squadra (una fortuna che all'estero hanno capito da tempo), la mancanza di una certa liquidità che costringe le società a cercare talenti all'estero e un livello che negli ultimi anni si è abbassato in modo incredibile (oggi si elogia, con tutto il rispetto, Graziano Pellè. Lo stesso ruolo che una volta ricopriva, tanto per fare un esempio, un certo Christian Vieri).
Pochissimi esempi di un'analisi che potrebbe essere chilometrica, ma che forse bastano per far capire che l'Inter straniera è forse l'ultimo dei problemi di un'Italia del calcio che, prima di guardare in casa nerazzurra, dovrebbe analizzare i propri, cercando in ogni modo di risolverli. Ultimo aspetto, ma non per importanza, è l'attaccamento alla maglia. Una virtù che oggi profuma tanto di storia e rappresenta un'assoluta rarità: Javier Zanetti, Ivan Cordoba, Esteban Cambiasso, Dejan Stankovic. Semplici esempi. Ma è gente che ha sputato sangue per la maglia dell'Inter e che sicuramente ha colto l'essenza dell'essere interista molto meglio di tantissimi altri italiani che da Appiano Gentile sono certamente passati, ma probabilmente senza nemmeno accorgersi della grandissima fortuna capitata loro in quel momento.
Ragioni tecniche, economiche e talvolta sentimentali. Quanto basta per convincermi del fatto che questa rosa che parla tantissime lingue, sinceramente, mi soddisfa molto e che questo disastro mi piace tantissimo. Ancor di più di un'Inter quasi interamente azzurra. E a questo proposito voglio fare un appello alla Curva Nord, che spesso non fa mancare dal secondo anello verde i tristissimi e patetici 'buh' nei confronti dei giocatori stranieri delle squadre avversarie.
Siete contenti? Vi divertite? Vi appaga sbeffeggiare il 'diverso'? Se la risposta fosse affermativa vi direi 'w la sincerità', ma ricordatevi che così facendo state riservando il medesimo (schifoso) trattamento verso i vostri beniamini che giocano in un club mondiale. Guarda caso proprio quello per cui fate il tifo. Un club che si chiama FC Internazionale. Un nome, anzi, un disastro che non andrebbe mai dimenticato, bensì apprezzato ed elogiato.
Autore: Francesco Fontana / Twitter: @fontafrancesco1
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