Non c’è bisogno di essere un pessimista di professione per riscontrare lo stato delle cose all’Inter.
Tifo questa squadra da abbastanza tempo per poter dire di aver già vissuto questi momenti, con altri giocatori, altri allenatori, altri presidenti. È un male non più tanto oscuro quello che determina gli strapiombi nerazzurri, e da quando faccio questo mestiere vedo e sento cose che da tifoso non potevo e forse non volevo vedere. Ma la storia va avanti e ora che si ripresenta l’ennesima crisi con le modalità rituali (l’allenatore ritenuto non all’altezza, i giocatori definiti mediocri e i dirigenti messi all’indice) mi rendo conto che l’Inter, preservando il peggio della sua identità convenientemente ritenuta “pazza”, cela le sue contraddizioni e un'antica indisposizione al cambiamento vero. Se l’Inter e i suoi tifosi fossero una cosa sola le difficoltà di questo periodo sarebbero superate più facilmente. Ma ad oggi tutte le parti, non so quanto consciamente, restano separate da compartimenti stagni. Andiamo nel pratico:
Mazzarri. L’attuale allenatore ha uno suo scarso appeal col pubblico e da qualche tempo persino con i risultati. Il giorno che è stato certificato l’avvicendamento tra Stramaccioni e Mazzarri tra le urla forcaiole che benedicevano l’addio di Strama, come se fosse un reprobo, e l’arrivo dell’esperto Walter, salutato con soddisfazione da stampa e pubblico come il perfetto navigatore, si è invece portato in scena l’ennesimo dramma di un allenatore accolto con ovazioni e atteso poi al varco. Mazzarri è stato risparmiato a lungo dal definitivo abbandono del pubblico che, detto per inciso, non lo ama perché la squadra non ha un gioco, la scorsa stagione è arrivato quinto senza coppe (e 18 partite in meno della stagione precedente) e ha una comunicazione carente. Dopo aver tentato di spiegare che non sono contro il tecnico Mazzarri in quanto tale, ma contro la scelta, incongrua con il tipo di allenatore (e anche giocatore) che serve a questa squadra per tornare a certi livelli, ho faticosamente risposto ai livorosi mazzarriani che sono d’accordo non sia colpa di tutti gli allenatori che si siedono sulla panchina nerazzurra, è infatti responsabilità della società scegliere e trovare ad ogni costo un grande allenatore che abbia delle contiguità con la storia dell’Inter. Non serve in questa fase storica un buon allenatore come Mazzarri. Non serve
prendere qualcuno perché non c’è di meglio o perché quel tale allenatore ha tanta esperienza. Lo dimostra la storia e la fine di Benitez, Gasperini, Ranieri e l’attuale situazione di Mazzarri. Essere dei bravi allenatori non corrisponde dunque a essere i manager che servono a questa squadra. Senza mettere in discussione le qualità.
L'aria che tira sull'allenatore. È una situazione che si ripete, quasi in loop, ogni volta che si discute sull’eventualità di cambiare guida tecnica. Non credo abbia fatto bene Thohir a dire “diamogli un’altra chance”. È una frase che suggerisce un esecuzione solo rimandata, indebolendo ulteriormente la posizione del tecnico e trasmettendo la precarietà di Mazzarri a giocatori, tifoseria e stampa. Logico che questa si propaghi nella testa di chi va in campo. La società, anche contro il comune sentire, deve proteggere sempre l’allenatore, a costo di dire che resterà fino alla fine del suo contratto e prescindendo dalle sue idee.
I giocatori. La spina è stata staccata per ragioni incomprensibili. È impossibile che l’Inter batta l’Atalanta, si assesti al quarto posto, dopo alcune prestazioni non esaltanti ma solide, e dopo 3 giorni i giocatori non scendano letteralmente in campo contro il Cagliari, battano a fatica il Qarabag, si parlino con l’allenatore facendo un patto promettente e riperdano, anche questa volta senza lottare. Non so se davvero i giocatori siano poco convinti dalle idee del tecnico ma non c’è nessuna giustificazione alla passività di molti di loro, all’incredibile terzo gol preso dalla Fiorentina e allo strano atteggiamento che ha preso la squadra dopo la gara con l’Atalanta. Se l’Inter avesse perso una partita rocambolesca col Cagliari, lottata e giocata, se avesse perso con la Fiorentina pur ruggendo, le critiche sarebbero ben diverse. Questa non è mediocrità della squadra ma assenza di volontà, indolenza nell’approccio e pigrizia. Cose che, la mancanza di un gioco, non può offrire un comodo riparo dalle critiche che arrivano più facilmente all’allenatore.
L'assenza di un leader. Se il capitano è Ranocchia o, in sua vece Nagatomo, è facilmente immaginabile che manchi un vero leader. La squadra non ha un giocatore davvero carismatico e questo spiega come si sia potuto offrire la fascia di capitano a un neo acquisto come Vidic che ha correttamente rifiutato.
La situazione debitoria. Da più parti arriva la minaccia di un'Inter che deve arrivare per forza in Champions, pena un ennesimo ridimensionamento. Sarebbe interessante avere uno stato dell’arte da Micheal Bollingbroke.
Thohir. Il presidente sembra più attento al progetto legato allo stadio, al marketing e al merchandising, materie che gli appartengono e che trovo appassionanti ma appare distratto o poco avvezzo alla dimensione tecnica della squadra, senza la quale l’Inter non può crescere.
Il pubblico a San Siro. Non so quanto abbia inciso la nuova politica dei prezzi ma è evidente che il pubblico a San Siro è calato sensibilmente, in termini di abbonamenti. Capisco che la società voglia uniformarsi ad altri club in Europa ma in Italia c’è una crisi senza precedenti e mi chiedo in che modo ora si voglia riportare la gente allo stadio. C’è da fare un ragionamento diverso, considerando il territorio in cui si opera.
Questa è la realtà attuale nuda e forse anche cruda. Ma non è asserendo che l’Inter “si ama, non si discute” che si aiuta. E nemmeno criticando con frasi trancianti a prescindere. Ai tifosi la scelta.
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