Abbi cura dei tuoi ricordi perché non puoi viverli di nuovo. Questa è la condizione difficile con la quale l'Inter si è dovuta confrontare nella prestigiosa notte di Champions League del Camp Nou, zeppa di rimandi a quella eroica del 28 aprile del 2010. La lunga vigilia è colma di paragoni scomodi che riportano indietro l'orologio della storia nerazzurra di otto anni, con rievocazioni appropriate solo nella dimensione del sogno. La realtà è un'altra, la Beneamata è lì dove voleva essere, come ha fatto notare giustamente il quasi presidente Steven Zhang, ma al momento non ha il vissuto dell'armata guidata da José Mourinho che vinse il Triplete per poterne replicare le gesta.

Già, il Triplete, curiosamente riportato in auge 24 ore prima dallo Special One nel Theatre of Dreams di Old Trafford per respingere al mittente le offese da stadio rivoltegli dai tifosi della Juve mentre osservava impotente la sconfitta del suo United. "Ovviamente loro non sono innamorati di me, ovviamente il momento più duro per loro è stato il nostro Triplete. Va bene così”, ha commentato a fine partita Mou. Quasi a dire che il Tempo si è cristallizzato al 2010: per i bianconeri, egemoni in Italia da sette anni, la vittoria europea rimandata negli anni è diventata un'ossessione crescente a partire da quell'impresa realizzata dagli odiati nemici sportivi. Per i nerazzurri e per José, al contempo, un'ancora a cui aggrapparsi nei frequenti momenti di crisi. O uno stemma da esibire per dire 'guardate come eravamo, voi non riuscirete ad eguagliarci'. Non si va lontani dal raccontare la verità quando si dice che il peso del passato è stato insostenibile per l'Inter negli ultimi anni: dopo aver raggiunto l'apoteosi, è come se il Biscione fosse stato schiacciato da una responsabilità che non poteva sopportare in annate non proprio in linea con la propria tradizione vincente.

Ecco, forse la gara con il Barcellona di ieri può essere il giorno zero a livello internazionale: l'ultimo trionfo fuori dai confini nazionali deve rimanere chiuso in bacheca, in campo la squadra di Luciano Spalletti deve costruirsi un proprio percorso, fatto anche di incidenti inevitabili come quello contro i catalani, pur orfani di Lionel Messi. Anche in questo caso, a proposito di passato che ritorna a bussare minaccioso, il destino ha voluto tirare un brutto tiro mancino a Icardi e compagni: Ernesto Valverde, al posto della Pulce, ha deciso di schierare un po' a sorpresa l'ex più chiacchierato della sfida, quel Rafinha che non ha avuto pietà quando si è trovato nella condizione di freddare Samir Handanovic per l'1-0 che ha indirizzato l'esito dello scontro al vertice del girone della morte. Niente esultanza dopo il gol per il centrocampista brasiliano, che ha involontariamente riaperto la ferita mai rimarginata del suo mancato riscatto. Alimentando, assieme alle reminiscenze delle sue prodezze milanesi, anche gli inutili rimpianti per quello che poteva essere e non è stato.

Rafinha è l'emblema di una condizione dello spirito che l'universo interista deve respingere con forza: indietro non si può tornare, bisogna rimontare in sella al cavallo che corre verso il futuro. Senza volgere lo sguardo all'indietro per poi rischiare di rimanere fermi a contemplare quelle tre dita che si levano al cielo per richiamare alla memoria il senso di invincibilità mai più ritrovato. Quello che conta ora è il numero 2, quello dei gol subiti in Catalogna. Un gap incontrovertibile alla luce del verdetto del campo, che però non può essere definitivo a ottobre: "Il confine tra essere una buona squadra e una squadra normale dipende dall'atteggiamento della squadra. Fa molto l'atteggiamento oltre alla qualità. Secondo me la distanza dal Barcellona è colmabile perché si possono fare cose più belle. Bisogna vedere più autostima", ha commentato Lucio in conferenza stampa.

Una convinzione che non deriva certo dall'aver aperto il libro dei ricordi alla pagina di quel 24 novembre 2009, quando Eto'o e compagni capitolarono sempre contro il Barça senza Messi, guarda caso 2-0. No, è il contrario: è il domani quello a cui guarda con fiducia Spalletti, la possibilità di plasmare il presente per migliorare il proprio destino. A partire dal ritorno del 6 novembre a San Siro, la prima gara-termometro che aiuterà a capire quanto l'Inter abbia imparato dai propri errori.

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Sezione: Editoriale / Data: Gio 25 ottobre 2018 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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