"Sono andato a prendere il Cenacolo, doveva essere l'ultimo derby che giocavo... Mi sa che se ne fa un’altra di ultima cena". Lo scorso 17 marzo, quando rilasciava queste dichiarazioni in piena euforia post-vittoria contro il Milan, Luciano Spalletti si sbagliava su un punto: quella gara al cardiopalmo finita 3-2, che poi si rivelò decisiva a maggio per ottenere la seconda qualificazione in Champions League di fila, fu la sua stracittadina senza ritorno vissuta sulla panchina della Beneamata. Quella sera, Lucio non pensava minimamente a una separazione imminente, né tantomeno aveva ricevuto segnali in tal senso; nei giorni che seguirono la svolta stagionale di un'annata appesantita dal settlement agreement Uefa e complicata e dal caso Icardi, anzi, l'uomo di Certaldo aveva incassato la fiducia da parte di Suning, almeno a livello verbale, per proseguire il matrimonio anche per la stagione successiva. Promessa poi non mantenuta e certificata dalla nota ufficiale striminzita con cui il club milanese, in data 30 maggio, diede il benservito a Spalletti: "FC Internazionale Milano comunica che Luciano Spalletti non ricopre più il ruolo di allenatore della Prima Squadra. Il Club ringrazia il tecnico per il lavoro svolto e per il percorso compiuto insieme", le esatte parole per comunicare la fine di una rapporto breve ma intenso. Che ha prodotto due conseguenze che portano dritte alla stretta attualità, ovvero alla sfida di domenica sera: l'avvento di Antonio Conte sulla sponda nerazzurra del Naviglio, con tutti gli arcinoti annessi e connessi, e l'approdo sfiorato di Luciano Spalletti nell'Inferno rossonero successivo all'esonero di Giamapolo. Una sliding door che avrebbe arricchito di ulteriori contenuti i 90' minuti della Scala del Calcio e che invece ha riempito di parole e prese di posizioni la vigilia. Sì, perché la vendetta di Spalletti non si è concretizzata in campo ma davanti a un microfono con il racconto di una verità che fin lì era stata filtrata dalle ricostruzioni dei media. Nella versione dei fatti di Lucio, in breve, non è mai esistito un 'gran rifiuto' al Milan ma un'impossibilità ad accettare l'incarico dettata da una questione di principio: "Chi le ha detto che ho detto no? Può dipendere solo da me? No, anche dagli altri. L'Inter? Ora ha cambiato versione, è già meglio... A lei le hanno raccontato male. La versione non è il rinunciare all’ingaggio: ho due anni di contratto, li devo lasciare lì tutti e due? E’ stato deciso di lasciarmi a casa pagandomi e io sto casa. Altrimenti poteva pure darsi che potessi andare al Milan in quel momento lì. Milan che ora ha un allenatore capace", ha spiegato senza giri di parole Spalletti a Sportitalia, a margine della nona edizione dell'Italian Sport Awards.

Una narrazione che, il giorno successivo, è stata corretta da una precisazione dell'Inter, via Ansa: "Oltre al compenso maturato dal Signor Spalletti, la Società aveva proposto un'ulteriore offerta economica come incentivo all'esodo, che non è stata accolta dall'allenatore". In pratica, l'Inter, ben lieta di liberarsi di un ingaggio pesante - poco più di 4,5 milioni di euro netti a stagione -, offrì al suo ex tecnico un milione di euro netto di buonuscita per liberarlo dal vincolo fino al 2021 ancora in essere con la società di Viale della Liberazione. Ricevendo il 'due di picche' dal diretto interessato che rilanciò chiedendo l’intero ingaggio della stagione in corso, fino al giugno 2020.

Non sarà, dunque, il derby di Luciano Spalletti che, nella giostra impazzita della panchine milanesi, non è riuscito a prendere il suo posto privilegiato vista San Siro per colpa di un orgoglio ancora ferito. Sarà come sempre la partita di Inter e Milan, ex moglie e amante mancata di Spalletti. L'allenator che, davanti alla tv dopo una giornata passata in campagna, domenica sera vedrà un film di un'ora e mezza in cui non comparirà mai il suo nome nei titoli di testa. Dal titolo 'not for everyone'. 

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Sezione: Editoriale / Data: Gio 06 febbraio 2020 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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