Ci vuole coerenza. E tanza forza d'animo per essere coerenti, poiche' sono innumerevoli le occasioni mediante le quali veniamo messi alla prova - o alla frusta - su questo caposaldo attraverso il quale, da che mondo e' mondo, si misura lo spessore di un essere umano. Facciamo un esempio: il prossimo Milan-Juventus di scena sabato prossimo. Posto che per regolamento non e' possibile auspicare la sconfitta di entrambe, urge una presa di posizione. Occorre armarsi di molletta da stendipanni, applicarla al naso, e prendere parte per il male minore. E, per coerenza, anticipo, terro' il Milan. Perche'? Semplice. Perche' alla Juventus mi lega un vincolo di ostilita' che promana dalla mia vena di sportivo/ingenuo, prodotto di un tessuto valoriale anni '60, ostile alle rendite di posizione estranee ai meriti squisitamente sportivi. Per questo, nel tempo, a partire dai primi anni '70 ho invano parteggiato nell'ordine: per il Cagliari, il Milan, la Fiorentina, la Roma oltre che, naturalmente, per a primatista assoluta tra le truffate. Senza alcuna fatica, peraltro, in quanto e' la mia squadra del cuore. Per questo non mi ero affatto stupito di apprendere nei primi anni '90 che la societa' bianconera aveva deciso di avvalersi dei servigi di un uomo come Luciano Moggi, i cui metodi erano noti da almeno una decina di anni, ne' che, per colmo di bigotto opportunismo, l'arruolamento avrebbe avuto effetto solo dopo la chiusura- alla buona - della vicenda "ospitalita" degli arbitri UEFA a carico del famigerato ex capostazione.
Per questo ho stabilmente fatto il tifo per qualsiasi squadra giochi contro la Juventus dacche' mi ricordi, sotto la spinta accessoria recatami dalla tifoseria bianconera educata -e parimenti indirizzata- al principio del "victoria non olet" assai prima che la vicenda calciopoli smascherasse in via definitiva la spudorata spregiudicatezza del suo approccio al fatto sportivo. Ho tenuto al Milan nei tanti omologhi incontri del girone di ritorno per vezzo e null'altro, giacche' finivano sempre per avere ragione quei bene informati in grado di far pronostici in anticipo, orientandoli sull'annosa pratica dello scambio dei punti secondo necessita' contingente, azzeccando cosi' puntualmente le giocate. Comprese quelle naturalmente dal cui esito ha scapitato in piu' occasioni la mia solita squadra del cuore. L'anno scorso, ricorderete, si scelse addirittura la via labiale al risultato finale con uno speaker, Giorgio Chiellini, neo bordocampista d'eccezione, a rivelarci l'indiscrezione. Ma per dargli ragione ci volle, detto per onesta', una staffilata imparabile di Rino Gattuso per trafiggere un incolpevole Buffon. Certo che la tentazione a cambiare posizione ci sarebbe eccome. Tenere per la squadra degli Agnelli. No, per loro credo di aver fatto abbastanza da cittadino italiano socializzando per 40 anni i costi della loro azienda capofila, salvandola cosi' dal fallimento. Ma, forse, se di mezzo non ci fosse la coerenza di cui prima, questa volta, probabilmente, sceglierei l'equidistanza.
Sostenere anche con la molletta sul naso due volte all'anno la societa' che nel dopo calciopoli e' divenuta un caso di smaccata arroganza mediatico-arbitrale mi mette, e ogni volta di piu', in serie ambasce. Solo chi guarda con occhio distratto le vicende del calcio ha trasecolato di fronte ai dati sbalorditivi inerenti l'attribuzione dei calci di rigore dalla stagione 2006/07 ad oggi. Milan saldo +31 (45/14) rispetto al +9 (30/21) di una squadra che si chiama Inter che degli ultimi 5 scudetti ne ha vinti 4 con una media superiore agli 80 punti. Il "caso Milan" -che va assai oltre il sintetico riferimento ai penalty sopra riferito e' un caso di ordinaria occupazione lobbystica di spazi ed istituzioni che dovrebbero essere comuni e che invece fanno rimpallare gli interessi pressoche' esclusivi di un competitore, tra la testa di chi decide dentro il palazzo e gli stinchi di una comunicazione che fa rimbombare i-pochi ovviamente- torti subiti, silenziando la verita' scomode ed il senso critico della pubblica opinione, recingendolo nell'inoffensivo gulag di un bar o di un luogo di lavoro. Tutto cio' detto, anche stavolta, terro' duro. Resistero'. Certo che vedere i turatini, gli ineffabili giornalisti, omologhi delle olgettine, affranti, fare mirror climbing nel dopo partita mi ristorerebbe non poco, in questo momento ne avrei proprio bisogno, eccome. Pazienza, sono o non sono un uomo tutto d'un pezzo? Coerente, dunque, sperando che la molletta sul naso tenga.
Le dolenti note. Appunto note e da tempo. Una buona e una cattiva notizia. Il Campionato Europeo per Nazioni abbreviera' le nostre pene accorciando la stagione dei clubs. Verso la fine di aprile con un sospiro di sollievo e, temo, senza l'ultima vigorosa vogata, potremo tirare i remi in barca. Parlo di noi appassionati, in quanto l'impressione che squadra e societa' l'abbiano gia' fatto. Quando? Quando, abdicando ad un principio di comune autodifesa e sussistenza, "siamo l'Inter", abbiamo assistito al diffondersi inarrestabile della contrizione, dell'approccio pavido, smarrito e depresso, culminato nello stravagare fomazioni e correzioni in corso d'opera in un tripudio di negativita' che dirime anche la sequela di vicende allucinanti classificate come effetto di imponderabile malasorte con troppa miope o superficiale bonomia. Tra i tanti segnali, ne scelgo uno, a dir poco emblematico. Una squadra che si chiama Inter non puo', pena la consapevolezza di ripiegarsi sampre piu' su se' stessa, vivere come un'insidia bisognosa di autotutele e contrappesi assortiti la presenza di una mezza punta dietro due attaccanti specie se il giocatore in questione e' l'unico in grado, seppure a sprazzi, di emanciparla dal grigiore. "La squadra e' bollita", "piu' di questo non puo' dare" la vulgata dilaga riproducendo a trazione integrale un senso di impotenza che mina alla radice la stessa dignita'. E allora, bollitura per bollitura, che almeno il pentolino assomigli un pochino alle stoviglie che usavamo fino a poco tempo fa.
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