Nelle ore in cui sta per sfumare malinconicamente il ricordo di Julio Cesar, uno degli ultimi eroi del Triplete ancora in attività, la domanda che sorge spontanea è una sola: all'Inter, c'è vita dopo l'epopea di José Mourinho? L'istantanea ormai ingiallita del balzo felino con cui l'Acchiappasogni nerazzurri parò la sentenza di Lionel Messi nella famosa semifinale di Champions 2010 vissuta trincea al Camp Nou ci informa che il tempo è passato portandosi con sé delle questioni rimaste irrisolte solo per colpa della recente e pericolosa abitudine della Beneamata di accontentarsi alla mediocrità.
Il gigante dormiente nerazzurro, ormai assente da più di cinque anni dal palcoscenico più prestigioso del vecchio continente, sembra essersi destato sul serio dal torpore dopo aver udito il suono della sveglia della Storia travestito da vocione di Luciano Spalletti. Che dopo sole 14 giornate di campionato - in realtà sembrano un'eternità a misurarle con l'orologio della Beneamata sempre pronto a rintoccare l'ora della crisi – a fine novembre ha dato ufficialmente il via alla sua era. E non solo in senso convenzionale, come già era accaduto nel giorno del suo insediamento ad Appiano Gentile. Sulla linea del tempo interista, dopo le famigerate vicissitudini degli ultimi sette anni anni, si può segnare l'anno zero con il quale indicare il punto che separa un prima e un dopo l'avvento del tecnico di Certaldo. Il quale, tra l'altro, ripete spesso ai media e ai suoi che la strada verso il futuro ormai è tracciata, e non si può più tornare indietro.
Spalletti, hegelianamente parlando, è un individuo cosmico-storico, uno di quelli che ha la visione completa dello Spirito del mondo e, in base alla volontà di quest'ultimo, realizza il destino di un popolo, in questo caso quello interista. Lucio ha impresso un'accelerazione improvvisa agli eventi spingedoli verso il miglioramento attraverso l'encomiabile lavoro in campo e fuori. Che si traduce puntualmente in ottenimento dei risultati a ogni turno di campionato. Un rapporto di causa-effetto ineludibile: "ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale", insomma.
D'un tratto, quindi, è scomparsa la casualità degli anni post-mourinhiani, l'alternanza di periodi di buio (molti) e luce (rari) senza un apparente motivo logico. Ora tutto è prestabilito, anche quando subentrano gli inevitabili imprevisti sul percorso tracciato dal buonsenso: "Ho già deciso tutto. Anche contro il Chievo giocheranno 11 titolari", la frase a effetto che Spalletti ha voluto mandare dal suo profilo Instagram per ridimensionare a suo modo l'emergenza dettata dall'assenza contemporanea di tre titolarissimi come Miranda, Gagliardini e Vecino. Un messaggio ai 'nemici' che sono rimasti tali e quali a quelli del 2010 e con il loro rumore di fondo cercano di disturbare il lavoro di Icardi e compagni con la creazione di casi ad hoc cuciti addosso alla cosiddette 'seconde linee'. "In una squadra che vince spesso si vanno a prendere quelli rimasti fuori e a ricordare quanto li abbiamo pagati, ma le riserve ci sono in tutte le squadre - ha denunciato Spalletti prima di Cagliari -. Di questi giocatori sembra che se ne conosca solo il valore economico e non quello relativo alla loro qualità".
Il tutto rientra in un progresso dialettico che include anche dei mali necessari che concorrono al raggiungimento del fine ultimo, la qualificazione alla prossima edizione della Champions League. Primo passo da compiere per sperare che lo Spirito del Triplete si reincarni nel tempo presente, permettendo agli spallettiani di esprimere il nuovo soggetto della storia universale interista.
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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