"È chiaro che nell'immaginazione collettiva il difensore è quello che difende e basta, ma non è il mio caso perché mi piace fare tanto altro. Ed è quello che provo a fare da 7/8 anni che sono in Serie A". Comincia con questo concetto la lunga intervista che Alessandro Bastoni concede al canale YouTube di Rivista Undici per raccontarsi e ripercorrere parte della sua carriera.
Come è successo tutto questo cambiamento nel tuo modo di giocare?
"È stata una cosa molto naturale. Nasco all'Atalanta e ho visto Toloi che è stato uno dei primi difensori fare questa cosa. Ho avuto anche fortuna perché ho trovato le persone giuste al momento giusto. Poi l'ho fatto prevalentemente quando sono arrivato all'Inter. Già con Conte si intravedeva qualcosa, poi con Inzaghi e con Dimarco gli automatismi si sono elevati all'ennesima potenza. La dote che forse mi differenzia dagli altri è la qualità con la palla e di fare la scelta giusta. L'allenatore aiuta, poi è il giocatore che scende in campo. È una dote naturale, poi nel settore giovanile dell'Atalanta ho avuto la fortuna di avere Favini che penso sia uno dei più grandi dirigenti del calcio italiano. Queste cose mi hanno portato ad essere quello che sono".
È stato difficile cambiare modo di giocare?
"Sta molto all'intelligenza del giocatore, io mi reputo molto intelligente. Riesco a capire bene le situazioni in campo anche quando gioco da terzo spesso mi trovo largo. Poi quando c'è sinonia in un gruppo tutto avviene più facilmente".
In futuro ti vedi in mezzo al campo?
"No, probabilmente comincerò sempre lì e poi mi sposterò in varie zone".
In Europa ci sono altri Bastoni?
"La propensione offensiva del difensore è una cosa che da un po' di anni stanno cercando tante squadre. Non sempre viene come si vuole. Io ammiro molto Gvardiol, poi c'è Calafiori che lo sta facendo molto bene all'Arsenal partendo da quarto. Il difensore ora è anche quello che deve creare qualcosa in più".
Ogni tanto ci pensi che stai evolvendo il concetto di difensore?
"Sì, ma è una cosa talmente naturale che non mi son dovuto sforzare ad essere un personaggio che non sono. Se sono d'esempio per un nuovo modo di giocare mi fa solo piacere".
La tua valutazione è la più alta di tutti i calciatori italiani. Ci hai mai fatto caso?
"Son titoli e cose che fanno piacere, ma un giorno sei il più forte e l'altro il più scarso. C'è da tenere equilibrio e dimostrare che hai quel valore, ma non è una cosa che mi sposta".
Il ruolo del difensore è visto diversamente anche in Italia, cosa ne pensi?
"Come dicevo prima, ora il difensore fa anche altre cose e questa cosa può far esaltare la gente. Quindi uno ha l'ambizione di diventare uno dei pochi che ce l'ha fatta".
Com'è l'incastro in Nazionale? Come è stato l'arrivo di Gattuso?
"Non veniamo da un periodo facile, non abbiamo fatto un buon Europe. La differenza di giocare tra club e Nazionale è tanta perché la sintonia c'è meno ed è normale, ma la cosa più importante è il senso di appartenenza: abbiamo una grande tradizione e va rispettata. Gattuso ha inisistito più su queste cose che sull'aspetto tattico. È uno molto diretto, ti dice le cose come stanno ed è quello di cui avevamo bisogno".
All'Inter invece ora sei una bandiera. Cosa è cambiato da quando sei arrivato?
"Quando sono arrivato avevo 20 anni e non potevo avere la ledership di oggi. Quando sono arrivato era un sogno solo vestire i pantaloncini di allenamento e vedere lo stemma. Oggi invece devo essere io quello che per me hanno rappresentato i vari Handanovic, D'Ambrosio e Ranocchia: sono io a dover trasmettere l'attaccamento alla maglia e quello che significa l'Inter a Milano e in Italia".
All'Inter c'è un ambiente molto unito e ci sono tanti italiani, anche questo aiuta negli automatismi di cui parlavi.
"Sì, ci aggiungo anche Mkhitaryan che è fondamentale: è uno troppo intelligente e capisce i nostri movimenti. L'italianità in Serie A è importante ma abbiamo avuto la fortuna di indirizzare i ragazzi nuovi nel fargli capire che persone eravamo e cosa volevamo da loro".
Cosa dite a Pio Esposito per farlo stare tranquillo?
"Lui è un ragazzo strepitoso nonostante abbia solo 20 anni. Si è trovato catapultato in un mondo dove tra social e televisioni è facile perdere la testa. Lui è super tranquillo, noi cerchiamo di dargli una mano ma per il momento non ce n'è stato il bisogno. Bisogna lasciarlo tranquillo e arriverà il suo momento".
Chi parla di più nello spogliatoio?
"Lautaro parla, io e Barella pure parliamo molto. Lautaro è il nostro capitano e il nostro leader, ma è molto bravo a farsi aiutare quando c'è bisogno".
Cosa è successo nella finale di Monaco?
"Non lo so, è difficile da dire e me l'hanno chiesto in tanti. È stata una cosa molto strana. Venivamo da una semifinale che resterà nella storia della Champions, poi non abbiamo saputo cogliere quanto fosse forte il PSG: andava al doppio di noi. È difficile dire cosa sia successo. Rimane comunque l'orgoglio di aver raggiunto due finali in tre anni, non è una cosa semplice. Chiaramente avremmo preferito vincerle, ma sono tutte esperienze che ci portiamo dentro".
Come siete ripartiti?
"Il bello e il brutto del calcio è che ti dà sempre un'altra occasione. Non è facile, non abbiamo dormito diverse notti perché la delusione era tanta, però poi quando passa un po' di tempo dici: 'Ci voglio riprovare, voglio arrivare a vivere di nuovo certe sensazioni'. Quando hai un gruppo sano che ti aiuta, dove tutti navigano dallo stesso lato, chiarmanete ti dà una mano. Finché sarà così io non avrò problemi".
Com'è il rapporto con Chivu?
"Ha avuto un approccio molto buono. È stato così anche al Mondiale per Club dove ci siamo conosciuti per la prima volta a livello professionale, anche se quando allenava la Primavera avevamo avuto qualche contatto con lui. È una persona molto valida, un ragazzo eccezionale che ha tanta voglia di lavorare, ci trasmette le cose nella maniera giusta. Secondo me ha colto perfettamente il modo migliore di entrare all'interno del gruppo. Ci troviamo bene".
Hai la faccia da bravo ragazzo, in campo sei cattivo?
"No (ride, ndr). Sono deciso quando serve ma non mi metterei nella categoria dei cattivi".
Però hai detto che il tuo modello è Sergio Ramos.
"Da lui non ho preso le entrate, ho preso lo stile di gioco e la tecnica che ha perché è di un livello eccezionale".
Un avvesario con cui bisogna essere cattivi?
"Beh Yamal l'anno scorso al 118' l'ho tirato giù di forza perché dopo 180' tra andata e ritorno è stato pesante da marcare. Quando ci vuole, ci vuole".
L'avversario più difficile da marcare?
"Direi lui".
Tu sei un grande fan dell'NBA. Stai prendendo delle cose da quel mondo?
"La cosa che più invidio a quel mondo è saper accettare la sconfitta. Da noi sembra la fine del mondo, da loro giocando così spesso sanno che non sempre si può essere al top. E torniamo al discorso di prima: ci sarà sempre una prossima volta dove dimostrare il valore che hai".
Cosa vorresti prendere dal mondo NBA per esprimerti sui social?
"Mah, la libertà che hanmo di poter esprimere concetti o di mostrare la loro vita personale senza essere costantemente attaccati o giudicati. Negli USA su questo sono più avanti di noi. Però è una cosa con cui devi convivere e che va accettata perché noi abbiamo deciso di far parte di questo mondo".
Ti sentivi già pronto per affrontare tutte le partite importanti che hai già vissuto o è una cosa naturale?
"La mia fortuna, che penso sia anche una dote, è di essere sempre pronto nelle occasioni in generale. Non ho mai sentito la pressione ma ho sempre affrontato tutto con la gioia di fare le cose che mi piacciono ed è quello che mi manda avanti nonostante tutte le partite. È quello che manda avanti un giocatore. Mental coach? No, mi bastano mia moglie e mia figlia che mi danno la giusta leggerezza di cui ho bisogno".
Il film della vita.
"Dico 'La vita è bella' di Roberto Benigni".
L'artista della vita.
"Ti metterei Ultimo e Olly, in questo momento mi piacciono molto".
Libro della vita.
"Non leggo, ne approfitto per leggere quello di Mkhitaryan che è uscito da poco (ride, ndr)".
La città di cui sei innamorato.
"Milano e Bergamo".
Il più casinista?
"Bare, senza dubbio".
Il più leader?
"Lauti e Bare".
Quello che ti fa ridere di più?
"Bare".
Quello che ascolta musica migliore?
"Lautaro, ascolta musica latina in generale".
E la musica peggiore?
"La peggiore l'ho avuta con Brozovic quando giocava con noi. Musica salva, croata... inascoltabile".
Quello che si veste meglio?
"Darmian".
E peggio?
"Questo non lo dico perché ognuno ha il proprio stile, lasciamo libertà a tutti di vestirsi come vogliono".
Quello che ti porteresti in vacanza?
"Ne ho fatto con Darmian, Lautaro, Barella, Dimarco... Direi loro".
Autore: Stefano Bertocchi / Twitter: @stebertz8
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