L'ex capitano nerazzurro Beppe Bergomi, ospite dell'Inter Club 'Massimo Moratti' di Fener nella biblioteca di Vas, ha presentato la sua autobiografia, "Bella Zio", edita da Mondadori e scritta insieme ad Andrea Vitali. La vecchia gloria della Beneamata ha ripercorso le tappe salienti del suo passato. Tra cui, la vittoria del Mondiale nel 1982 con la Nazionale italiana: "Un momento indimenticabile - riporta il Corriere delle Alpi -. Di quella squadra conservo ancora un bel ricordo: in primis di mister Bearzot, perché mi diede sempre fiducia, fino a farmi giocare la finale con la Germania: marcai Rummenigge. Bearzot era come un papà per me: il mio lo avevo perso quando avevo sedici anni. Poi il ricordo del gruppo: fu Gianpiero Marini a darmi questo soprannome. Avevo i baffi e un’aria matura e per questo mi disse “sembri mio zio”. Ricordo inoltre Gaetano Scirea. Un esempio per tutti noi, per come una persona deve dare il buon esempio umanamente. Lui era l’ultimo che doveva andarsene".

Cosa manca di quel calcio al giorno d'oggi?
"Penso che nel calcio moderno servano esempi positivi, perché è un po' malato e ha bisogno di migliorare. E la medicina non possono che essere le persone. Ivan Cordoba, Javier Zanetti, Paolo Maldini sono degli esempi da seguire, perché si muovono anche nel sociale".

Quanto ha inciso la fortuna nella carriera di Beppe Bergomi?
"Mi ha aiutato, anticipando l’esordio. Nel 1982 giocai a causa dell’infortunio di Vierchowod, all’Inter si infortunò Canuti. Feci il mio primo gol nel derby dell’81. Se ho rischiato di giocare nel Milan? Sì. Venivo da una famiglia di milanisti. Feci così un provino nelle giovanili, e mi presero. Dopodiché sorsero dei problemi alle visite mediche e mi scartarono. Li feci con l’Inter e le superai. Da li è iniziata la mia carriera".

Un percorso calcistico colorato soltanto di nero e d'azzurro...
"Quando ti trovi bene in un posto non pensi mai di andare via. Per me all’Inter è stato così: sono nato a Settala, vicino Milano e so cosa significa il senso di appartenenza a una maglia, a una città. Uno dei ricordi più belli che ho da ragazzo è stato il mio primo viaggio in pullman nelle giovanili dell’Inter: primo settembre 1977. Mi sedetti accanto a Riccardo Ferri, con cui avrei poi giocato per tanti anni".

Quale messaggio vuole lasciare un campione come Bergomi alle nuove generazioni?
"Dico ai giovani di seguire la propria passione, e di divertirsi nello sport, senza pensare al denaro. All’Inter mi rivedo in D'Ambrosio, ma scegliendo altrove direi Barzagli. Icardi spero possa diventare una bandiera. Nel calcio d’oggi non ce ne sono più".

Sezione: News / Data: Sab 19 gennaio 2019 alle 12:06
Autore: Andrea Pontone / Twitter: @_AndreaPontone
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