Che dovesse essere una serata carica di risposte, lo si sapeva. Che queste risposte sono quelle che varranno un gagliardetto tricolore a fine anno, lo sapremo solo con il tempo. Lazio-Inter è stata tante cose, fra le altre una gara Scudetto. Inzaghi ha vinto con merito, gestendo sapientemente le fasi della partita e tenendosi un doppio asso nella manica per fare manbassa: Lazzari e Correa sono entrati quando il risultato era ancora in parità e hanno permesso ai padroni di casa di aumentare il forcing fino al gol, tanto fortunoso quanto meritato, che vale il secondo posto solitario in classifica. Svanito l’effetto derby, l’Inter è tornata a specchiarsi nelle sue incongruenze: le difficoltà a risalire il pallone, le poche idee nell’attaccare la porta avversaria, una fragilità difensiva cui dover far fronte. Conte avrà di che pensare, in questa settimana d’Europa League. Perché questa squadra non può più fare a meno di Eriksen: tre palloni toccati, due compagni mandati in porta. C’è bisogno di una svolta, c’è bisogno di calare la punta di diamante dal mazzo. La seconda sconfitta in campionato arriva nel momento meno opportuno, ma la strada è ancora lunga.
ROMPICAMPO - Il primo tempo di Lazio-Inter è stata una lunga gara di scacchi, di quelle che sono diventate famose negli anni ’80. Era evidente che in palio ci fosse qualcosa di più dei tre punti, un bisogno primario di vedere riconosciuto un percorso che le due squadre stanno portando avanti in momenti diversi. Inzaghi ha modellato la sua rosa nel corso degli anni, Conte negli ultimi sei mesi: Inzaghi ha trovato il suo undici perfetto, che sa usare come coltellino svizzero per scassinare ogni tipo di difesa avversaria. Conte sta ancora cercando di amalgamare un gruppo che deve trovare altre soluzioni quando la principale non riesce ad ingranare. Poteva finire in mille modi, all’Olimpico. Invece vince la Lazio sfruttando i suoi campioni: Acerbi che fa due chiusure pazzesche su Lukaku, Milinkovic Savic che gioca una partita mostruosa, da MVP del campionato. E poi il connubio di Luis Alberto e Immobile, la mente e il cuore di questa squadra. Alberto è uno degli osservati speciali (insieme a Lucas Leiva), mentre Immobile non smette più di segnare. All’Inter resta l’amaro in bocca per essersi fatta riprendere per l’ennesima volta in stagione, senza aver avuto modo di controbattere una seconda frazione gagliarda della Lazio - contrapposta a un ingresso moscio da parte dell'Inter, partita con l'intenzione di difendere il risultato apparecchiando una resistenza nella propria metà campo. Piano saltato subito, visto che al 50' la partita era di nuovo in parità.
IL BISOGNO - L’Inter in questa settimana calcistica (per non dire l’ultimo mese e mezzo) ha avuto tre grandi problemi: far risalire il pallone dalla difesa, aprire velocemente sugli esterni e tagliare il campo negli ultimi venti metri. Guarda caso, in panchina c’è un giocatore che integra nel suo bagaglio tecnico tutte queste skills. Certo, l’equazione di inserire Christian Eriksen nell’undici titolare non porta automaticamente vittorie, altrimenti saremmo tutti allenatori. Ci sono ancora alcune motivazioni valide per cui Conte preserva il danese dall’undici titolare: ma frazione dopo frazione, il bisogno di avere dal primo minuto il 24 si fa sempre più impellente. Anche a costo di rischiare qualcosa in fase di non possesso, quando la sua condizione fisica non perfetta potrebbe costare qualcosa. Quando Brozovic è raddoppiato, quando Skriniar e Godin non riescono ad accompagnare De Vrij in impostazione, quando c’è da osare la giocata e anticipare un tempo di gioco. Come fu con Barella a inizio campionato, così per Eriksen Conte ha preferito un ingresso graduale. Il 23 segnò con lo Slavia Praga e la sua stagione decollò, Eriksen non ha bisogno di un episodio: deve essere il centro gravitazionale della nuova Inter, ricca di spunti e idee. Altrimenti, oltre a perdere lo scontro diretto con la Lazio, l’Inter rischia di mangiarsi le mani ancora a lungo.
CALMA - Ora in casa Inter c’è bisogno di calma. Non s’è perso un sogno per la seconda sconfitta in campionato. E’ certo che l’assenza di Handanovic è un macigno che difficilmente si potrà risolvere se non con il ritorno dello sloveno. Il caos che regna nell’area di rigore ogni qualvolta ci sia un’uscita o una palla contesa è significativo. I gol nascono da errori individuali perpetrati e che andranno a valanga sull’umore della ciurma. Che deve rendersi conto delle sue difficoltà, ma anche che è riuscita a tener botta per novanta minuti alla squadra che ha annichilito la Juventus e che è decisamente molti step di maturità avanti rispetto a quelli, fisiologici, dell’Inter di Conte. Certo, con qualche accortezza in più sarebbe stato un altro pareggio consistente, dopo quello di San Siro contro l’Atalanta. Ma l’Inter è un gruppo che ha dei valori sani e un’anima definita: c’è bisogno di calma e coraggio per uscire dall’empasse. Domenica prossima, in casa contro una Sampdoria in balia degli eventi, è l’occasione per scrollarsi di dosso qualche fantasma e preparasi al meglio alla Trasferta: Conte si rammaricherà per tutti questi scontri diretti nel periodo più nefasto, ma non c’è tempo per piangersi addosso. Chi si ferma è perduto. E l’Inter ha ancora troppe cose da dire per arrendersi sul più bello.
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Autore: Marco Lo Prato / Twitter: @marcoloprato
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