“Non ho la bacchetta magica, si deve tornare a vincere attraverso il lavoro”. Quando, il giorno della sua presentazione ad Appiano Gentile, Roberto Mancini ha chiarito così la sua posizione in merito al lavoro ciò che si apprestava a svolgere, sembrava la solita frase fatta. Oggi, soprattutto dopo la partita di ieri sera all’Olimpico, le sue parole hanno acquisito molta concretezza, affievolendo l’entusiasmo iniziale dopo il cambio in panchina. L’Inter vista contro la Roma ha mostrato qualcosa di buono dal punto di vista dell’approccio e della mentalità, di certo più sfrontata e propositiva. Ma è stato evidente l’imbarazzo difensivo contro, giusto sottolinearlo, la seconda forza del campionato che ha giocatori di grande livello dalla cintola in su. La difesa a 4 con Ranocchia e Juan Jesus centrali e Campagnaro-Dodò sugli esterni ha sofferto le pene dell’inferno contro un inarrestabile Gervinho e gli inserimenti di Ljajic, Pjanic, Totti e Nainggolan.
Per lunghi tratti l’Inter è rimasta in balia della manovra avvolgente e verticale dei giallorossi, mostrando enormi lacune nei movimenti difensivi. Il primo gol della Roma è emblematico: scambio Maicon-Ljajic, Kuzmanovic non segue il taglio del serbo, Dodò resta impalato sul brasiliano, Juan si trova in mezzo e né Ranocchia né Campagnaro scalano, lasciando Gervinho solo davanti alla porta. Errore grossolano, il peggiore dei tanti visti nelle prime tre uscite stagionali di Mancini (Milan, Dnipro e appunto Roma). Non che sia stato l’unico, perché anche nel prosieguo del match troppe volte i difensori si sono trovati a fronteggiare gli uno contro uno di giallorossi più veloci, senza poter contare sull’aiuto di un compagno. Il vero mismatch perso malamente dall’Inter è stato sulla propria fascia sinistra, con Dodò e soprattutto Juan incapaci di arginare l’ivoriano e mettendo in difficoltà l’intero reparto. Oltre alle prestazione negativa dei singoli (nessuno merita la sufficienza), il vero aspetto preoccupante è la prova del reparto, che evidentemente dopo mesi di difesa a tre fatica a metabolizzare il cambiamento. In particolare i due centrali sembrano in costante sofferenza, perché l’abitudine ad avere un centrale alle loro spalle li porta a intervenire con meno cattiveria (Ranocchia) e scarso tempismo (Juan), dimenticando di non avere il tappabuchi che rimedi ai loro errori. Se poi gli esterni non sono il primo ostacolo all’avversario di turno, è ovvio che le imperfezioni dei due centrali vengano rimarcate.
A questo punto, l’unica soluzione è il lavoro, come dice Mancini. Provare, provare e provare ancora le situazioni di gioco con la linea a 4, abituando tutti i difensori a scalare al momento giusto e uscire solo quando serve. Al contempo, il Mancio dovrà lavorare anche al filtro in mezzo al campo, visto che mediani bravi nella fase di interdizione non mancano, coinvolgendo però anche chi parte da posizioni più avanzate e ha la tendenza a non supportare a dovere la fase difensiva. A prescindere dal fatto che questa rosa sia stata costruita per un altro allenatore, questo non significa che ci si debba rassegnare vivendo alla giornata. Non avrebbe avuto senso allora puntare su un allenatore con tanta esperienza internazionale. Ora che le due partite complicate sono state archiviate (appena un punto) ci si attende già domenica prossima un’altra prova di carattere e soprattutto un’organizzazione tattica migliore, sperando nel riscatto dei singoli che stanno vivendo un periodo di difficoltà e già sono stati etichettati come inadatti a prescindere dal modulo.
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