Finalmente, è successo. Christian Eriksen entra e segna, nel momento più importante, nella partita in cui serviva un guizzo per legittimare un dominio totale. L’Inter si riprende lo scettro del derby al termine di una partita pazza, estenuante decisa dall’uomo presentato alla Scala, che doveva rappresentare il ritorno dell’Inter nel Gotha del calcio europeo.
Al di là degli episodi, la gara di Coppa Italia è stata a senso unico: i ragazzi di Conte hanno girato per tutta la partita a marce altissime, inanellando ventisette (!) Tiri verso la porta di un Tatarusanu in versione deluxe, ma che ha dovuto cedere alle perle di Lukaku e, sì, proprio quell’Eriksen dato per partente ma che ora può avere visto scoccare la scintilla che può valergli l’Inter.
Ridurre il secondo derby dell’anno a due episodi però non renderebbe giustizia a una gara intensa, ricca di colpi di scena: dal battibecco tra Ibrahimovic e Lukaku (che cosa si sono detti davvero? Vedere Big Rom così furioso è una novità), all’espulsione dello stesso Ibra, passando per l’infortunio dell’arbitro Valeri e senza dimenticare il passaggio a 4 di Conte, con Kolarov terzino tutta fascia: è la terza volta dopo Fiorentina e Cagliari che vale un’altra volta il bottino pieno. E meno male che doveva essere un normale martedì di Coppa.
ASSEDIO - Contro il Milan, l'Inter recita lo stesso copione di sempre. Ventisette tiri in porta sono un dato controverso, per la squadra di Conte: da un lato testimonia l’ennesima partita dominata, ben prima che il Milan perdesse Ibrahimovic per doppia ammonizione. Dall’altra è la conferma della fatica di questa squadra di chiudere le partite quando ve ne è il bisogno: anche in questa partita, i nerazzurri prima di agguantare il pari sciupano diverse occasioni, complice anche un Tatarusanu che in un paio di momenti sfoggia il suo vestito migliore. Le stesse leggerezze che contro l’Udinese sono costate i tre punti, contro il Milan vengono annacquate da un dominio territoriale che ha ricordato la gara con la Juventus: i rossoneri, senza molti titolari, non sono riusciti a reggere l’onda d’urto degli attacchi dell’Inter. Un dato emblematico: negli ultimi 30’, il Milan ha tenuto il possesso del pallone per appena due minuti. Quel che si dice game, set & match: per il pallone decisivo, citofonare Christian Eriksen.
NUOVA VITA - Eriksen a Milano ha già vissuto mille vite. Dall’arrivo trionfale, ad una pandemia, alle panchine propedeutiche nella cavalcata europea fino ai tentativi, più o meno forzati, di inserirli in uno scacchiere che sembrava rigettarlo senza pietà. Eriksen ha vissuto mille vite, ma non ha mai detto una parola fuori posto: Conte ha provato a metterlo al centro del progetto tecnico, poi l’ha accantonato per infine riprenderlo per necessità. “Eriksen rimane perché non esce nessuno”, l’ammissione candida fatta anche ieri sera dal tecnico interista. E da qui si spiega la necessità di adattarlo da regista basso, al posto di Brozovic: l’esperimento è ancora lontano dal poterlo giudicare positivo, perché di fatto il danese ha giocato solo la gara di Firenze in quella posizione. Ma se è vero che il calcio è un gioco mentale, il gol di ieri sera ha mille significati: una rete così importante, in un momento fondamentale, segnata nella stessa porta in cui un anno fa una punizione da distanza siderale si è schiantata sulla traversa. Corsi e ricorsi storici, per un’ulteriore chiamata a Eriksen, per prendersi finalmente questa squadra sulle spalle. La strada è ancora lunga, ma la prima freccia, quella che ha posto fine all’assedio e ha fatto crollare le mura nemiche, è stata scagliata con successo.
NERVOSI - L’Inter torna in semifinale di Coppa Italia dopo che la beffa dell’anno scorso, quando un’altra serata di sciupi a Napoli costò la finale. L’ultima semifinale giocata con la Juventus è finita ai calci di rigore, nell’anno del Mancini bis - quando una doppietta di Brozovic e il gol di Perisici riequilibrarono il 3-0 dell’andata. Un doppio scontro che può proiettare la squadra a un’altra finale, un ulteriore step di crescita per un gruppo che si è cementificato attorno ai suoi pilastri. Anche ieri sera, Romelu Lukaku è stato un leader incontrastato: dopo l’alterco con Ibrahimovic, è tornato in campo e ha giocato con la stessa freddezza olimpica con cui ha siglato il quarto gol nel derby. Una sentenza dal dischetto, un appiglio per questa squadra. La sua è la più classica delle vittorie ai punti: giocare alla zuffa non è producente, Big Rom è troppo saggio per non saperlo. Così, dopo la foga iniziale, è tornato a mostrare la sua calma, incanalando la rabbia nella partita. E, come spesso succede, il suo esempio (abbinato alle scariche elettriche di Barella) ha trascinato la squadra a dare il meglio. Ma ora la testa deve essere già al Benevento, perché in campionato non si può più sbagliare: aver battuto il Milan eliminando dalla contesa Ibrahimovic è stato un segnale mandato a tutto il campionato, che qualcosa si muove e che l’Inter, nonostante tutto, c’è. Ma il percorso è irto di ostacoli e la bagarre è appena cominciata.
VIDEO - NERAZZURLI - ERIKSEN RISOLVE IL DERBY, ESULTANZA SFRENATA IN CASA ZANETTI
Autore: Marco Lo Prato / Twitter: @marcoloprato
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