"Il mio gol col Barcellona? E' stata la più bella partita mai vissuta, è stata un'emozione unica, anche se non ha portato nessun trofeo. Per noi e per la gente". Francesco Acerbi ricorda così, a Radio 24, il significato del suo gol più famoso che ha spalancato le porte della finale di Champions League all'Inter.
Qualche tifoso interista maledice quel gol...
"Io mi tengo quel gol perché è meglio giocarsi la finale, una partita da 50 e 50. Anche se la nostra a Monaco è andata male dal primo al 90esimo, l'emozione di battere il Barcellona in quel modo lì è stata unica".
Come ha fatto i Barcellona a prendere un gol così?
"Dopo il 3-2, il Barcellona aveva in mano la partita. Forse hanno avuto un po' di superficialità. Per me è stato bello, per loro un po' meno: da difensore si può marcare certamente in maniera diversa".
La telecronaca di quel gol.
"Io cerco di andare in attacco e dico agli altri che tanto non cambiava niente tra perdere 3-2 o 4-2. Vado su e cerco di far casino: mi metto là, senza pensieri. Mi sono messo in fuorigioco e, dal momento che arriva il cross, io sono già in area. La palla è arrivata giusta, poi sono riuscito a fare gol perché ci ho creduto e anche con un po' di fortuna".
Che compagno di spogliatoio sei?
"Io vado d'accordo con tutti. Barella, Bastoni. Dimarco e Thuram sono ragazzi simpatici e umili, mi diverto con loro. Ma in generale sono abbastanza solitario. Poi in campo parlo con tutti, quando me la sento e vedo qualcosa soprattutto a livello di atteggiamento. Sono un po' come uno zio o un padre per qualche compagno".
Quanto è forte Pio Esposito?
"In America ho visto sto ragazzone qua che si allenava da solo: 1,90, agile. Ho pensato fosse un giocatore forte, anche senza vederlo con la palla. Poi ha due caratteristiche che a me piacciono da impazzire: umiltà e fame che raramente vedi nei giovani d'oggi. Ha tutto per diventare un giocatore importante. Inoltre ha anche testa, tiene i piedi per terra. Sembra un veterano, è una cosa fantastica".
Che allenatore è Chivu?
"Non c'è un modo diverso di approcciarsi a un mister giovane. Lui è l'allenatore, ci sono i ruoli. Ha poche panchine in Serie A, ma è lui che decide e si prende le responsabilità. Bisogna sempre portargli rispetto".
Come è finita con la Nazionale?
"Col senno del poi.. Io ho rifiutato la convocazione, ma non ho mai detto che non voglio più andare in Nazionale. Se dovesse chiamare Gattuso, ci andrei di corsa. Non volevo fare polemiche, ho solo voluto fare chiarezza. Dopo l'Europeo, io ho chiamato Spalletti dicendogli che non ce la facevo più a muovermi, dovevo operarmi. Lui mi ha risposto di stare tranquillo, ma poi non mi ha più chiamato. Poi succede che fa quelle dichiarazioni sulla mia età, delle quali poi si è scusato privatamente. Io gli ho risposto che non avrei portato rancore, ma ho precisato che non è bello che un mister dia del 'vecchio' a un giocatore. Mi ha fatto capire che avrei fatto solo la gara con la Norvegia ma poi non ci sarebbe stato più spazio per me per le sfide successive. Io sarei andato di corsa, ma dopo quelle dichiarazioni e questa richiesta... Mi sono sentito un po' 'usato'".
Elaborazione del 'lutto sportivo' della scorsa stagione: come sta il gruppo?
"Siamo giocatori importanti, siamo all'Inter. Ci sta che i primi 2 mesi ci siano delle scorie, anche a livello inconscio. Dopo serve la forza per andare a riprendersi ciò che abbiamo lasciato indietro. Complimenti al Napoli per lo scudetto, ma noi abbiamo fatto passi falsi: il rammarico più grande è quello. Alla finale di Champions siamo arrivati cotti mentalmente e fisicamente. Con Chivu stiamo facendo un percorso importante, serve più leggerezza mentale. Dobbiamo avere la forza di fregarcene, ritrovando il sorriso. Serve uno switch, la serenità che il nostro gruppo ha dimostrato nel corso degli ultimi anni. Ogni giocatore ha una testa, io ad esempio ho resettato perché ho capito il perché. Magari altri hanno gli incubi, altri ancora dormono serenamente ma non perché non gliene freghi nulla".
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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