Lo chiamavano "El Principito". Eleganza degna di un nobile abbinata alla fantasia sudamericana. Con il sinistro era in grando di telecomandare il pallone in rete da qualunque distanza. Sui calci piazzati era mortifero e si divertiva ad impallinare i portieri avversari da qualunque distanza. Quando iniziava a prendere la rincorsa, il pubblico iniziava già a preparsi ad esplodere in un boato di gioia. Un pomeriggio fece traboccare di entusiasmo i cinquantamila di San Siro contro il Parma con due colpi da bilardo da oltre trentacinque metri. Distanze siderali per i comuni mortali che si tramutavano in conclusioni semplici, quasi banali per lui. Parliamo di Ruben Sosa, attaccante uruguayano capace di segnare quarantaquattro reti in settantasei presenze con la maglia nerazzurra. Un triennio denso di soddisfazioni personali quello vissuto dall'attaccante nativo di Montevideo alla corte interista. Una Coppa Uefa alzata al cielo da protagonista assoluto della manifestazione nel 1994 e prodezze che lo resero un idolo assoluto per la torcida del Meazza. FcInterNews.it l'ha raggiunto telefonicamente in quel di Montevideo, dove svolge il ruolo di allenatore del Nacional. Assistente tecnico di Pelusso in Prima Squadra e mister in prima persona dei giovani talenti under 16 della Cantera uruguagia. L'Italia gli è rimasta nel cuore e con la Beneamata il rapporto è ancora viscerale, soprattutto con i tifosi che, ogniqualvolta mette piede in Italia, riservano a Ruben accoglienze incredibili. La stessa che ha rivolto alla nostra testata, con la quale si è fermato a chiacchierare una mezz'oretta. Aneddotti e rivelazioni sull'Inter che è stata e quella che sarà: sempre con il sorriso sulle labbra e la battuta pronta. Un'allegria contagiosa e inebriante, un po' come la magiche traiettorie mancine che fecero di innamorare di lui milioni di supporters italiani.
Ruben, se lo dico Inter a cosa pensa?
"Una grandissima squadra, fra le più importanti del mondo. Mi legano alla formazione nerazzurra ricordi bellissimi...".
Tre anni ricchi di gol e soddisfazioni...
"Per me l'Inter ha rappresentato qualcosa di speciale. Mi sono trovato benissimo come calciatore ma soprattutto come uomo. Ho avuto il piacere e l'onore di giocare insieme a grandissimi campioni come Zenga, Bergomi e Ferri".
Che rapporto ha con l'Inter?
"Per me è stato un grandissimo club, il più grande per blasone e tradizione nel quale ho giocato in Europa. Quando torno in Italia e a Milano i tifosi si ricordano di me e mi fanno sentire importante. Mi fanno sentire ancora calciatore, l'affetto che mi riversano è incredibile".
Lei era il mago delle punizioni: il suo sinistro era in grado di disegnare traiettorie incredibili...
"(risata ndr). Te le ricordi le mie punizioni...".
Da qualunque distanza riusciva ad essere micidiale: come riusciva?
"Ci provavo sempre. L'obiettivo era segnare. Calciavo forte da lontano o cercavo di piazzare il pallone da vicino: desideravo fare gol".
All'Inter ha griffato una Coppa Uefa: ricordi della cavalcata trionfale del '94?
"Allora era un trofeo molto importante. Bisognava arrivare secondi o terzi per parteciparvi. Quell'anno volevo vincere, assolutamente, con l'Inter qualcosa di importante. La Coppa Uefa fu una soddisfazione grandissima. Quell'anno in campionato fummo sfortunati e non riuscimmo a replicare il secondo posto dell'anno prima, perciò ci concentrammo al massimo sull'Europa. Volevo lasciare un mio segno nella storia nerazzurra e credo di esserci riuscito".
In finale fu suo l'assist vincente per Jonk...
"Meno male che ha segnato, altrimenti San Siro sarebbe impazzito (ride ndr). Vincemmo in casa davanti ai nostri tifosi contro il Salisburgo. Fu una notte magica...".
Quell'Inter avrebbe potuto fare di più in quelle stagioni?
"Eravamo davvero una bella squadra e c'erano tanti giovatori importanti. L'Inter per me era il massimo e volevo giocarci a tutti i costi. Noi trovammo il Milan di Van Basten, Rijkaard e Gullit sulla nostra strada e non riuscimmo a centrare lo Scudetto, ma ci arrivammo vicini".
In attacco ha fatto coppia con tanti giocatori che si sono alternati come suoi partner...
"Riuscivo a giocare con tutti. Con un brevilineo veloce come Schillaci piuttosto che un talento come Bergkamp o una punta d'area come Pancev. Mi sono trovato bene con loro".
A Milano divenne anche un idolo assoluto per la Curva Nord...
"Ero uno di loro. Giocavo per la gente, per far divertire i tifosi. Il calcio dev'essere allegria. La gente allo stadio deve tifare e gioire per la propria squadra. Io cercavo di regalare queste sensazioni a chi mi guardava".
Sta seguendo il calcio italiano?
"Settimana scorsa ero a Roma e spero di ritornare presto anche a Milano. Ho seguito il campionato e l'Inter quest'anno non è riuscita a fare quello che avrebbe potuto. Da tifoso dico che un club così deve puntare a vincere ogni anno un trofeo: mi piacerebbe succedesse. Campionato, Europa League e Coppa Italia: un titulo all'anno dev'essere raggiunto".
In casa nerazzurra è tempo di rinnovamento: sono arrivati gli addii delle bandiere...
"Zanetti ha smesso e mi dispiace. Javier è stato un grandissimo capitano e professionista. Sono convinto che terrà alto il valore dell'Inter anche come dirigente. E' un interista vero".
Dopo lei e Recoba il buio: gli ultimi uruguayani interisti hanno deluso: come mai?
"Storie diverse. Alvaro Pereira è un terzino e Gargano un volante: per loro giocare all'Inter non è facile. Bisogna essere dei campioni per riuscire ad imporsi in nerazzurro. Mi è spiaciuto per Forlan che è un grandissimo giocatore e solo a Milano non è riuscito a mostrare la sua classe. El Chino Recoba è un grandissimo campione e gioca ancora adesso. Ci assomigliavamo...".
Lei ha segnato reti strepitose in nerazzurro: quale conserva nel cuore?
"Le due punizioni al Parma, seguro (testuale ndr). Il gol nel derby contro il Milan ha regalato grande gioia nei tifosi. Contro il Pescara segnai con un sinistro incrociato all'angolino. A San Siro c'era sempre pieno: mi esaltava giocare davanti al nostro pubblico. Io giocavo per loro e dare gioia alla gente. Quando passo ad Appiano Gentile sembra che ancora gioco dalle feste che mi tributano".
Come calciatore ha vissuto il passaggio dall'era Pellegrini a quella Moratti.
"Pellegrini è stato un gande presidente e un grande uomo. Mi ha voluto all'Inter e sono rimasto legato a lui. Moratti è una persona speciale, appassionata di calcio e innamorata di questa società. Mi hanno trasmesso il loro amore per l'Inter".
Il suo Uruguay è un fucina di talenti...
"Noi siamo un paese piccolo nel quale, però, sbocciano calciatori come le piante. Ogni pianta esistente escono due-tre calciatori. Farà un mondiale importante e ha diversi elementi importanti per fare bene. Certo il girone con Italia e Inghilterra è molto duro e riserverà grande spettacolo. Ma l'Uruguay ha tutto per arrivare in fondo".
Di cosa si occupa ora?
"Sono allenatore delle punte del Nacional Montevideo. Ci sono ragazzi giovani molto interessanti e credo possano fare grandi cose. Noi abbiamo il calcio nel sangue e quando tocchiamo la palla viviamo qualcosa di speciale. Il calcio per noi è tutto. Da bambini cresciamo con il pallone. Stiamo crescendo molto e seguo da vicino anche i ragazzi delle giovanili".
Autore: Nicolò Schira / Twitter: @NicoSchira
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