“Cari tifosi,
Questa è la lettera più difficile che vi abbia mai scritto.
A causa della pandemia abbiamo dovuto cancellare le stagioni di EuroLeague ed EuroCup.
È un momento triste perché questa era stata la stagione di maggior successo della nostra storia.
Non vediamo l’ora di vedere i giocatori nuovamente in campo.
Presto ci torneremo a godere questi momenti”.
La lettera di Josep Bertomeu, numero uno del basket europeo, colui che tiene le redini di EuroLeague Basketball, il consorzio che gestisce le principali competizioni europee della palla a spicchi, è decisamente più lunga. Questa è solo un’estrema sintesi che contiene però la notizia principale: il basket, in Europa, ha definitivamente chiuso i battenti. E lo ha fatto in maniera pressoché unanime, a parte la eco della minaccia di uscita dal sistema di un club. Lo ha fatto parlando chiaro ai sostenitori delle squadre partecipanti, spiegando sostanzialmente che tale decisione è stata presa per tutelare la salute degli atleti e per permettere ai club di riprendere l’attività agonistica quando torneranno a verificarsi le migliori condizioni possibili per giocare. Soprattutto, lo ha fatto fissando già le date di partenza per la prossima stagione. Il che significa solo una cosa: idee chiare, per tutti, per poter pianificare al meglio le mosse per la ripresa, approfittando dell’ampio margine temporale a disposizione. Prova ne sia il fatto che, poche ore dopo l’ufficialità dello stop, l’Olimpia Milano ha annunciato l’arrivo del classe ’98 Davide Moretti, reduce da stagioni di una certa importanza nel basket collegiale a stelle e strisce.
Decisione e fermezza nell’abbassare la saracinesca e chiudere tutto, quella mostrata dall’Eurolega. Una chiarezza che, per dire, ancora latita nel meraviglioso pianeta Nba, dove ancora ci si barcamena sulla soluzione da trovare per provare a chiudere la stagione e dove la sola certezza sembra essere quella di trasferire tutti a Disneyworld, in un mondo che però di magico avrà forse ben poco. Ma anche volendo rimanere all’interno dei nostri confini, la differenza si nota. Perché anche la pallacanestro italiana, e da parecchio tempo, ha decretato lo stop al campionato, la non assegnazione dello Scudetto e stabilito date e paletti per la prossima stagione, in maniera magari un po’ grossolana ma comunque con dei riferimenti ben precisi. Quelli che continua a non avere il calcio italiano, che ha deciso sì di ripartire ma che ancora temporeggia, balla su un intervallo di tempo tra due venerdì per il nuovo via, non sa ancora se completare il quadro delle partite restanti sul calendario, magari ad orari improponibili in piena canicola, oppure affidarsi direttamente ai playoff mettendosi poi l’elmetto per fronteggiare tutte le contestazioni del caso. Si attende con palpitazione la data di giovedì, quando finalmente si dovrebbe capire quale sarà il destino, ad ogni modo non propriamente glorioso e volendo nemmeno certo di essere compiuto fino in fondo (e le ultime novità non sono positive), di quest’annata segnata dal tormento.
Mesi di chiacchiere, di ipotesi, di tira e molla, di slanci vitali e di frenate repentine, di dichiarazioni al limite del filantropico e strali di indignazione, il tutto nel tentativo di provare a rendere il meno duro possibile un impatto che, sotto diversi aspetti, rischia di diventare comunque simile a quello di una macchina lanciata contro un muro con una pietra piantata sull’acceleratore. E alla fine, all’interno di questa cortina di fumo denso dove vedere un po’ di luce appare impossibile, cosa resta? Resta forse l’aggrapparsi a quello che è tornato disponibile sul mercato, vale a dire quella Bundesliga che da due settimane ha ripreso le ostilità. Un torneo che, vista comunque la fame di calcio che perlomeno in buona parte degli appassionati si è fatta sentire, ha guadagnato probabilmente più interesse di quello di cui ha goduto nella storia. Ma anche qui, al di là del fatto agonistico che comunque si sta rivelando accettabile, si guardano i match senza pubblico sugli spalti, con rituali completamente stravolti, e si fa fatica davvero a provare una passione autentica per questo che è uno sport a dir poco svuotato di quella che è la sua anima.
“Il calcio senza tifosi è niente”, recita uno striscione posto all’interno dello stadio del Borussia Moenchengladbach, e fatichi davvero a confutare tale affermazione: le sagome di cartone poste sugli spalti raffiguranti le gigantografie dei sostenitori appaiono solo un grigio e poco sensato posticcio (fu così anche quando si adottò questa soluzione anni fa a Trieste, perché dovrebbe cambiare la visione delle cose?), l’audio dello stadio prefabbricato un palliativo dal retrogusto quasi beffardo. E difficilmente sfuggiranno a questa sensazione la Liga che ripartirà a breve o, sempre in caso di ripartenza, la stessa Serie A, come del resto abbiamo anche avuto modo di assaggiare prima della pausa forzata in quel Juventus-Inter che non a caso è stato qui definito ‘l’ultima partita prima dell’apocalisse’. Aleggia la triste sensazione di un calcio giocato per inerzia, solo per causa di forza maggiore ma senza un’anima né un’identità; per dirla in maniera brutale, si avvertirà comunque l’amara sensazione di un coito interrotto.
Per il resto, rimangono le chiacchiere di mercato che già imperversano. E tutto gira, come noto, intorno al nome di Lautaro Martinez: che farà il Toro? Resisterà al richiamo del paese della corrida, o per meglio dire, alle ricche sirene catalane? Oppure accetterà i consigli di chi gli dice di restare all’Inter per diventare ancora più forte? E al suo posto, arriverà Timo Werner o Edinson Cavani? Mentre in Spagna e in Argentina fra un po’ andranno a scovare anche congiunti fino al sesto grado per parlare di quanto sarebbe bello vederlo insieme a Lionel Messi, in Italia sembra smuoversi poco, del resto non vi è nemmeno certezza su quelle che saranno le date della campagna trasferimenti… E senza il calcio giocato, resta il calcio vissuto, quello dei ricordi: non sono passati tanti giorni dal decennale dell’impresa del Triplete, in un anniversario già anomalo per il contesto, reso ancora più malinconico dalla scomparsa di un signore, prima ancora che di un allenatore, di nome Luigi Simoni. Notte di Madrid raccontata in tutte le salse praticamente da tutti i protagonisti, a partire dall’uomo che costruì l’impresa, quel José Mourinho che mai come adesso è tornato con la mente e con la voce a quei momenti storici, scolpiti nella mente di ogni tifoso.
È stato però lo stesso José Mourinho a pronunciare parole importanti sull’Inter di oggi, quella che dopo quel 22 maggio è entrata in un tunnel lungo e profondo, riuscendo a intravedere la luce solo in tempi recenti: "Una Coppa Italia in dieci anni, per l'Inter, è pochissimo, inaccettabile. È dura per i tifosi. Però, per come stanno lavorando ora, non sarebbe una sorpresa vedere l'Inter tornare a vincere in Italia e in Europa". Verità inconfutabile, quella dello Special One: stiamo vivendo probabilmente uno dei periodi più lunghi della storia della Beneamata senza nessun trofeo all’attivo, sensazione anomala per non dire alienante. Eppure, dopo tanti anni così tormentati, in tantissimi ormai si sono prodigati a dire che l’Inter ormai è sulla rampa di lancio, che è pronta a contrastare il potere quasi decennale della Juventus, che ormai è solo questione di tempo. Già, ma quanto tempo?
Sarebbe dovuta essere questa la stagione del cambio di pelle, del passaggio dall’Inter folle, che giusto un anno e un giorno fa rischiava le coronarie nell’ultima giornata di campionato al cospetto dell’Empoli strappando la qualificazione in Champions League all’ultimo respiro, con Radja Nainggolan che segna e Danilo D’Ambrosio che evita il dramma generale, a quella razionale, di polso, quella condotta da Antonio Conte, colui che ‘crazy Inter no more’, che ha deciso di togliere gli elementi destabilizzanti dallo spogliatoio puntando su gente di sua fiducia. I segnali, comunque, erano promettenti, anche nonostante le sconfitte pesanti con Juventus e Lazio e ancora qualche passaggio a vuoto letale in Europa l’aria che si respirava era buona. Finché, per cause purtroppo indipendenti dalla volontà di tutti, tutto si è fermato e nessuno saprà se effettivamente questo passaggio epocale si sarà compiuto definitivamente.
Perché sì, inutile prenderci per il naso: anche se si dovesse riprendere, difficilmente quello che vedremo sarebbe corrispondente agli effettivi valori, sia che finisca bene sia che finisca male. Il campionato che andrà a concludersi, sempre se si concluderà, avrà lo stesso effetto di una gara di Formula Uno con le monoposto dietro la safety car fino a 3-4 giri dalla fine: si ripartirà, certo, ci sarà qualche sorpasso e qualche variazione ma i valori espressi fino a quel momento dalla corsa saranno completamente azzerati. E con la prospettiva di una stagione successiva della quale non si sanno date e format, il rischio è che si protragga ancora questa attesa di capire se l’Inter sarà riuscita a diventare effettivamente grande. Non dipende da nessuno, non lo merita nessuno.
VIDEO - 27/05/1964: MAZZOLA INCANTA, MILANI BOMBARDA: L'INTER E' CAMPIONE D'EUROPA
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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