No, l'inverno non è ancora arrivato. Perché in fondo era proprio questo che temevano in molti, i più critici, gli avvezzi ai fischi o alle condanne precoci, dopo lo 0-0 casalingo dell'Inter con la Roma. Un pareggio brutto, una partita noiosa, una squadra pigra persino nei passaggi e incapace di concretizzare almeno tre-quattro occasioni da gol nitide che avrebbero cambiato molto, portato due punti e un certo entusiasmo in più. Che l'Inter ridotta ai minimi termini, costretta ad affidarsi al centrocampo della prima gestione Spalletti (che infatti ha finito, per lentezza e prevedibilità, ad assomigliare a quella squadra) e obbligata in ogni partita a dare il 110%, non possa vincere ed essere brillante sempre è naturale, ovvio, sacrosanto. Ancor di più lo è per un'Inter che fin qui sta facendo, letteralmente, miracoli. Nel gioco, nella mentalità, nelle prestazioni e nei risultati.

Semmai un leggero fastidio, rimasto tra lo stomaco e la pancia venerdì sera, era solo dovuto al fatto che sarebbero bastati un pizzico di freddezza, lucidità, cattiveria in più sotto porta, in almeno una di quelle tre-quattro occasioni da gol clamorose, e l'Inter avrebbe avuto facilmente ragione di una Roma salita a Milano col solo scopo di palleggiare, tenere l'avversario il più lontano possibile e riportare a casa un punticino d'oro. Per una volta i nerazzurri avrebbero potuto portare a casa il massimo risultato col minimo sforzo, concretizzando a proprio favore persino una gara bruttina.

E invece i ragazzi di Conte sono sempre chiamati a fare lo sforzo massimo perché non hanno ancora la consistenza, la maturità, l'esperienza, la malizia per fare diversamente. Ogni volta una battaglia, ogni volta chiamati a dare il meglio, a creare tanto, a correre ancora di più. Bisognerà, nel corso della stagione, imparare a vincere dosando di più le energie, sfruttando anche l'unica occasione che ti si presenta davanti, far correre gli altri e strappare il bottino senza per forza lasciare sul campo sudore, lacrime e sangue.

Ma intanto la forma e la sostanza che Antonio Conte ha dato alla sua Inter sono innegabili e soprattutto portano risultati. Di più: offrono la concreta sensazione di essere all'altezza, della storia, delle aspettative, anche di quelle difficilmente immaginabili. Antonio Conte come architetto di qualcosa che somiglia molto a un sogno, nella forma e nella sostanza. Giusto poi, da parte dell'allenatore, richiamare all'unità di intenti, per mettere da parte fischi e mugugni dei più severi loggionisti che alla Scala del calcio non tollerano le stecche. Eppure, le stecche stagionali dell'Inter in campionato sono arrivate proprio lì, alla Scala del calcio, in un San Siro dove Juve, Parma e Roma non hanno consentito ai nerazzurri di mantenere immacolato il ruolino di marcia vincente come invece è sempre avvenuto in trasferta.

E proprio nel giorno della Tosca alla prima vera della Scala, nel giorno di Sant'Ambrogio, la stecca clamorosa della Juve, contro un'altra romana che però gioca, corre e mostra una gran qualità, regala un risveglio inaspettato persino a chi non voleva continuare a credere nel sogno apparecchiato dall'architetto Antonio Conte. Perché no, l'inverno dell'Inter non è (ancora, per lo meno) arrivato. Dicembre, negli ultimi anni, soprattutto in quegli anni che avevano prospettato l'illusione di un vento nuovo, ha sempre coinciso con un gelo che ha intaccato e rovinato sogni e prospettive oltre che classifiche. Questo temono, e temevano, i loggionisti severi, scontenti di un pareggio con la Roma che, in effetti, per come è arrivato e guardando lo spessore dell'avversario era giusto lasciasse l'amaro in bocca.

In tutto questo, però, l'Inter si ritrova prima. Più di prima. Un segno? Forse. Di certo questa Inter è regista di uno spettacolo che appassionerà tutti fino alla scena finale, fino a che calerà il sipario: un campionato vivo come non si vedeva da tempo, dove c'è un indiscusso attore protagonista (che rimane superiore agli altri e guai a pensare il contrario) che però sa di doversi conquistare a fatica il centro della scena perché stavolta c'è vita, eccome se ce n'è, attorno.

Nel frattempo la Scala, quella del calcio, si prepara a ospitare la madre di tutte le rappresentazioni che andrà in scena in un unico atto, senza repliche né rifacimenti. Quella col Barcellona è una partita senza domani perché in ballo c'è qualcosa di più del passaggio agli ottavi di Champions: c'è la possibilità di fare quel salto di qualità che manca da anni, di dimostrare una mentalità nuova e la capacità di andare oltre i limiti tecnici e la stanchezza fisica con la compattezza e la grinta ci chi vuole costruire qualcosa di epico.

Perché questo, qualcosa di epico, serve per battere una delle squadre più forti al mondo guidata da uno dei giocatori più forte al mondo che non si presenterà alla Scala del calcio con una sciatta comparsata ma per fare ciò che è parte della sua storia e della sua filosofia: arte calcistica applicata. L'Inter dovrà essere concentrata, cinica, pressante e quasi asfissiante. Coraggiosa e un po' folle. Per rimandare ancora l'(eventuale) arrivo dell'inverno. Adesso più di prima.

Sezione: Editoriale / Data: Lun 09 dicembre 2019 alle 00:00
Autore: Giulia Bassi / Twitter: @giulay85
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