Ora, visto che ne mancano otto a chiudere e la situazione non è del tutto delineata, cerchiamo di non cadere nel patetico refrain del – sono tutte finali -. Qui di finale non ce n’è manco mezza, c’è solo da correre e risparmiare fiato e polmoni. La strada intrapresa sembra finalmente essere corretta; Palermo, Bologna e Roma hanno mostrato una squadra in netta crescita. Certo, per i puristi del bel gioco e per i soliti accaniti critici del nostro allenatore non va mai bene nulla. Indi per cui col Palermo abbiamo fatto malino, col Bologna pure, con la Roma ci è andata bene.

Ma, si sa, il mondo (del calcio e non solo) è bello perché è vario (avariato sarebbe un di più inutile) e ciascuno, vivendo in una democrazia del tifo, è libero di esprimere il proprio parere o la propria opinione. E quando scrivo ciascuno intendo davvero ciascuno. Chiunque, anche chi non sa cos’è una diagonale, una sovrapposizione, uno scivolamento del centrocampista di riferimento, può amabilmente dissertare di pallone. È la cosa bella del calcio. È la cosa per la quale questo sport è il più praticato al mondo. Oltre ad essere il più chiacchierato.

Il calendario, da qui alla fine, sembra tosto. Ma abbiamo perso un mare di punti in un periodo nel quale, andate a ritroso mnemonicamente, avremmo dovuto dare lo strappo decisivo. Ecco per quale motivo non guardo mai chi andremo ad incontrare, ad esempio, nelle prossime 3-4 giornate. Siamo padroni del nostro destino; siamo l’Inter, non dobbiamo per storia, blasone e tradizione, temere niente e nessuno. Semmai sono gli altri che devono aver paura di incontrarci; concetto non ancora del tutto compreso da molti nerazzurri attuali. E però, siamo onesti, non è nemmeno colpa loro; semmai è retaggio di un modo di intendere calcio del tutto provinciale, senza traguardi, senza stimoli che non fossero quelli di un onesto lavoro da comparse, non da protagonisti. 

La mia idea è che il mondo nerazzurro, prima di mettere alla gogna Mancini (sport ormai assai diffuso, lo sottolineo tutte le volte perché non riesco a spiegarmelo, ho sicuramente dei problemi di comprensione), dovrebbe pensare da dove è partito il mister. Una ricostruzione non inizia dal compra questo e vendi quello; piuttosto dal convincere i calciatori delle loro potenzialità, della loro capacità di stare in campo, dello scendere sul terreno di gioco sempre e soltanto per vincere. Perché siamo l’Inter, il resto è contorno e niente più. Solo dopo, quando chi veste i colori del cielo e della notte avrà appreso un universo, l’interismo, differente da tutti gli altri mondi pallonari, sarà possibile pensare di poter costruire, allora si, una squadra. Con grinta, volontà, cattiveria agonistica, voglia di non mollare nemmeno di un centimetro. Invece di assistere a spettacoli da comprimari, attendendo il destino cinico e malevolo.

A me invece hanno colpito, negativamente assai, le parole di Icardi rilasciate solo qualche giorno fa. Quel “dopo la Juve abbiamo tirato fuori l’orgoglio”, domando scusa ma non l’ho proprio digerito. Ancora oggi. Ma non era l’incapace Mancini con le sue scelte a rovinare fior di campioncini che con un altro in panca oggi sarebbero primi con trenta punti di vantaggio? Ma non era l’allenatore a non saper dare la carica giusta a ragazzi che solo all’apparenza sembravano svagati e senza un perché ma che, in realtà, erano un branco di iene assetate di sangue travestite? No, perché qualcosa inizia a sfuggirmi. Sarà un caso che in campo, dopo la sfuriata di Ausilio con conseguente conferma di Mancini (roba della serie o così o così e basta), tutti si siano messi a correre a perdifiato? Prima faceva male alla salute? Prima intendo, quando a dire le stesse cose era stato proprio Roberto Mancini? Oppure no, ripeto perché va bene essere democratici e quindi libertà di pensiero per tutti, se lo dice il Mancio non va bene e se lo dice Piero sì? Confesso; le parole di Mauro non mi hanno fatto per niente piacere e, casomai, dimostrano come l’attuale posizione dipenda certamente da errori di chi sta in panchina, ogni allenatore ne fa, ma soprattutto da scarsa concentrazione di chi in campo ci va. Con l’orgoglio negli spogliatoi. Discorso chiuso una volta per tutte.

Anzi no, un sassolino dalla scarpa vorrei ancora levarmelo; l’atteggiamento di Brozovic e del suo procuratore. Vorrei ricordare al signore, di cui non rammento il nome e non ho neppure l’intenzione di andare a cercarlo per una citazione, che il suo assistito è stato assente ingiustificato per circa tre mesi. Durante i quali non ho rimembranze di averlo mai visto, sempre il procuratore, davanti al portone della Società per eventuali ritocchi contrattuali. Sereno, di Brozovic all’Inter ne sono passati a decine. Piuttosto porti una cifra consona e vedrà, ne faremo a meno; sempre che le premesse siano le sue dichiarazioni, ovviamente. Proprio per il concetto sopra espresso: siamo l’Inter, le porte sono aperte per chiunque pensi che questa maglia non sia un punto di arrivo ma esclusivamente di passaggio. Salutandoli indistintamente avrebbe detto Totò.

Già, il mercato. Perché piaccia o no da qui alla fine del campionato e anche dopo, assisteremo impotenti alle solite chiacchiere sul nulla. Facciamocene una ragione. E non spaventiamoci se qualche buontempone un giorno racconterà di una Società ormai fallita ed il giorno dopo vedrà l’Inter sulle tracce di Cristiano Ronaldo. Fa parte del gioco. Preoccupiamoci invece di stare vicini alla squadra; non mancano otto finali, ma otto partite. La strada è lunga. E i miracoli, nel calcio, a volte accadono.
Buona domenica a Voi.
Amatela. Sempre e comunque.

Sezione: Editoriale / Data: Dom 03 aprile 2016 alle 00:00
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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