"La storia siamo noi, siamo noi che scriviamo le lettere, siamo noi che abbiamo tutto da vincere o tutto da perdere". Sembra risuonare nell'aria questo splendido verso della canzone di Francesco De Gregori mentre il Fato – distratto per undici anni – decide di girare definitivamente la gloriosa pagina del romanzo del Triplete interista in meno di 48 ore. Domenica, poco prima delle 17, Antonio Conte conquista lo scudetto da capopopolo della Beneamata detronizzando la Juve dopo nove anni di dittatura tecnica in Italia; martedì, verso le 3 del pomeriggio, José Mourinho, l'ex ultimo campione d'Italia nerazzurro, diventa il successore di Paulo Fonseca sulla panchina della Roma, tornando in Serie A "senza pensarci due volte", esattamente come aveva anticipato al Times in un'intervista di pochi giorni prima a cui il mondo aveva dato poco peso. Ma la storia è così, vive di periodi in cui non sembra succedere nulla e invece sotto le ceneri cova già la rivoluzione.

Da quel 22 maggio 2010, le lancette dell'orologio si sono letteralmente fermate per non si sa quanto, troppo poco per abituarsi all'idea di vedere lo Special One sulla panchina di un'altra squadra italiana. Comunque il tempo adeguato per metabolizzare meglio quello che non può essere vissuto come un tradimento, nelle ore in cui il tifoso interista sente istintivamente di voler abbracciare re Antonio da Lecce, l'antico nemico giurato che ha avuto il potere di trasformare il 5 maggio 2002 nel 3 maggio 2021, proclamandolo giorno della Liberazione dal dominio bianconero. Conte ha aggiornato il grande libro della storia interista sconfiggendo la mitologia che lo circondava: dopo un anno di studio matto e disperatissimo del fenomeno in questione, romanzato fuori dalle mura di Appiano Gentile come indecifrabile, il tecnico è arrivato alla conclusione che la narrativa della pazzia insita nel Dna del club fosse la scusa più facile per nascondere la rara mediocrità in cui era piombato dopo la gloria comunque ben distribuita negli anni dalla sua fondazione a oggi. Il ripasso della storia è stato indispensabile per capire che il nefasto periodo successivo all'anno di grazia 2010 è stato eccezionale tanto quanto l'impresa di vincere tutto grazie al portoghese. 

La storia si è trasformata in leggenda, tanto che i testimoni oculari di quell'evento hanno finito per amplificare i fatti per ergerli a esempio in favore dei posteri. Ottenendo, per contro, il risultato di schiacciare sotto il peso della responsabilità gli eredi di questo passato troppo ingombrante. All'Inter è successo di non vincere più nulla, con la beffa di assistere da impotente spettatrice alla trionfale parentesi vincente della Vecchia Signora durata 2382 giorni in ambito nazionale. A Mou è andata decisamente meglio rispetto al club del suo cuore, ma ha dovuto convivere con una verità più amara degli 8 trofei inseriti nel suo palmares dopo l'esperienza milanese: non è più il miglior allenatore sul pianeta. Lo dice la parabola della sua carriera: il Real – dopo Porto, Chelsea e Inter – è stato l'apogeo dopo il quale il portoghese ha cominciato a salire su treni sbagliati come quello della nostalgia (Chelsea-bis) o della fedeltà (United con l'utopia di ripercorrere le orme di Sir Alex Ferguson). E arriviamo ai giorni nostri: Tottenham e Roma, club da 'zero tituli' come li avrebbe definiti il suo vecchio sé ai massimi livelli della sua spavalderia sportiva. Scelte obbligate che rispecchiano il ridimensionamento di un uomo, la cui parte manageriale ha finito per divorare quella del re della comunicazione e della guida spirituale che convince i campioni a trasformarsi in gregari e viceversa. Tutto all'opposto di ciò che sta succedendo nella carriera di Conte, che si è permesso il lusso di prendersi un intero anno sabbatico, rifiutare la corte di Real e Psg, prima di scegliere l'Inter da un mazzo di proposte allettanti. Tra le quali, guarda caso, c'era anche quella dei giallorossi, con Francesco Totti che si mosse in prima persona per portarlo a Trigoria. Incassando, come tanti pretendenti in quel periodo, un 'due di picche'.

Uno dei tanti 'what if' che caratterizzano la storia del calcio che, dopo aver fatto un giro su se stessa, potrebbe mettere di nuovo di fronte Mou e Conte in Serie A, sempre che quest'ultimo non faccia saltare il banco come successo alla Juve e al Chelsea. L'unico precedente è un Atalanta-Inter 1-1 nella stagione 2009-10, un mesetto prima delle dimissioni rassegnate da Conte come tecnico della Dea. Il punto più basso della carriera di King Antonio che coincide con quello più alto del Vate di Setubal. Un'era geologica fa, contraddistinta da sei altri faccia a faccia, tutti in terra inglese: 4-2 recita lo score complessivo in favore dell'italiano. Che, più delle vittorie sul collega, è riuscito nella non facile impresa di far convertire la gente di Stamford Bridge contro il suo Dio, chiamato addirittura Giuda. Un Giuda che in mano non ha trenta denari ma 'solo' le sue tre dita per indicare il numero di Premier vinte sulla panchina dei Blues. "Ho solo ricordato loro i miei successi qui. Finché non avranno un manager capace di conquistare quattro titoli sarò io il migliore. Sono un Giuda? Ok, ma Giuda Number One!”, disse all'epoca Mourinho.

Quel tre che probabilmente Mou mostrerà con orgoglio ai loggionisti di San Siro, dai quali non aveva volutamente prendere il meritato tributo la notte del 22 maggio per evitare un ripensamento clamoroso dopo la parola data a Florentino Perez. L'evento che diede il là alle vite parallele di Mourinho e dell'Inter, in una gara a rincorrersi a chi ha avuto più da vincere e più da perdere. Undici anni fa fu l'Inter a subire certamente di più il contraccolpo del distacco; ai giorni nostri è Mourinho – lo dicono le cronache di due anni fa – ad avere bisogno dell'Inter, tanto che ci sarebbe tornato a piedi in nerazzurro. Ora, per la prima volta da quel sogno diventato realtà, José sarà un avversario diretto, certamente speciale, ma pur sempre un ostacolo come un altro verso la vittoria di un trofeo: "quando c'è competizione vale il detto latino 'morte tua, vita mia', ha chiosato perfettamente Conte parlando a 'Le Iene' della clamorosa notizia che ha diviso il popolo dei colori del cielo e della notte. Ma solo concettualmente, perché l'Inter è più unita che mai grazie alla vittoria del titolo. C'è finalmente un nuovo anno zero sulla linea temporale nerazzurra dopo il 22 maggio: "lo Scudetto non è la conclusione ma l’inizio del cammino, un passo importante all'interno di una nuova era", ha commentato Jindong Zhang nella lettera inviata alla famiglia nerazzurra.

Sezione: Editoriale / Data: Gio 06 maggio 2021 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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