… vedrai non finirà. Mi scuso con Riccardo Del Turco se prendo in prestito una frase della sua nota canzone per adattarla a tematiche calcistiche. Però mi viene spontaneo pensando alla campagna acquisti invernale dell’Inter, conclusasi un’ora fa. Nessuno si aspettava fuochi d’artificio, ci mancherebbe. La maggior parte era stata spalmata durante la scorsa estate per ricostruire una squadra reduce da un ottavo posto. Ce n’era bisogno, eccome, e fino a dicembre il campo ha legittimato le scelte del duo Ausilio-Mancini (con supporto del ‘fu’ Marco Fassone).
Già, fino a dicembre. Poi è arrivato il Qatar, Doha, quindi il mese di gennaio. Un incubo che ha smascherato i limiti della rosa finora ben celati dai risultati più che dalle prestazioni. Ebbene, le prestazioni sono peggiorate, i risultati anche. Che fare, dunque? Lavorare, il mantra del Mancio. Ma non solo, c’è da ritoccare, magari con un nuovo attaccante che veda la porta meglio dei vari Icardi, Jovetic, Ljajic, Palacio e Perisic. Strategia chiara: via Fredy Guarin, dentro Eder. Lo stesso Eder che tanto Ausilio aveva chiesto a Ferrero a fine agosto, prima di ripiegare su Ljajic. Operazione da 13 milioni di euro totali, la stessa cifra che l’Inter incassa dalla cessione allo Shanghai del Guaro. Che, e non sono l’unico a sostenerlo, lascia un preoccupante posto vacante in mediana. Perché pur essendo da sempre oggetto di aspre critiche il colombiano rappresentava comunque un asset significativo nelle idee di Mancini. Il quale, con le monetine incassate dal sacrificio, ha chiesto e ottenuto un altro attaccante.
Non voglio dilungarmi sull’opportunità di impegnarsi economicamente con la Sampdoria per l’italobrasiliano. Lui il gol lo ha nel sangue, è cresciuto molto ed è un punto fermo della nazionale di Conte. Nulla da dire sulle sue qualità. Ma chi è stato bocciato per fargli spazio? Icardi? Jovetic? Lo diranno le prossime scelte dell’allenatore. E sarà comunque una sconfitta dal punto di vista tecnico e finanziario. Il problema serio però è un altro. Davvero possiamo concludere questa stagione cruciale con cinque centrocampisti di cui: Felipe Melo, reduce da tre turni di squalifica e potenzialmente sempre a rischio; Gary Medel che, vivaddio, ha tre polmoni ma, diciamocelo, non è propriamente un geometra; Geoffrey Kondogbia, mister Godot, che temo non vedremo al meglio prima della prossima stagione (sperando che nel frattempo capisca dove si trova); Marcelo Brozovic, al quale il talento non manca ma in quanto a continuità, beh, il derby chiarisce tutto; Assane Gnoukouri, desaparecido. Quanti di questi giocatori possono realmente essere affidabili nel lungo periodo? Quanti di loro si potrebbero amalgamare in un centrocampo a due, che vista l’abbondanza di offensivi, appare la scelta più probabile?
Fino a dicembre i risultati hanno nascosto i limiti della mediana, che in un modo o nell’altro il suo dovere lo ha fatto. Ma con un Guarin in meno, non certo un fenomeno ma pur sempre un’opzione in più per dare un pizzico di qualità al reparto. Riassumendo: via Vidic, Dodò, Ranocchia, Montoya e Guaro. Dentro Eder. Vero è che tre dei rilasciati facessero praticamente solo da tappezzeria ad Appiano Gentile, ma l’ex capitano e il colombiano erano comunque parte integrante del progetto tecnico. E per un difensore e un centrocampista che hanno fatto le valigie, è arrivato un attaccante. Logica offline. Ribadisco, è la mediana che mi preoccupa, non la retroguardia. Con Medel e Juan Jesus (fingo di non aver visto il derby, mi aiuta) due alternative non mancano, anche se incrocio le dita su Miranda e Murillo: che infortuni e giudice sportivo li ignorino. Però dopo il derby (sì, l’ho visto, non riesco a fingere) mi chiedo davvero come si faccia a resistere altri 4 mesi nelle zone alte della classifica senza qualità nell’area nevralgica. E non mi riferisco al classico regista di cui si parla tanto e a sproposito, al punto da essere diventato una figura mitologica. Il calcio è un gioco paradossalmente semplice, non basta solo correre, mostrare i muscoli e rispettare i dettami tattici. Bisogna sapere anche trattare il pallone con delicatezza, magari alzando la testa. Non è necessario puntare sul playmaker per definizione, basterebbe (sarebbe bastato, suona tristemente meglio) aggiungere un centrocampista che sappia trattare il pallone. Pazienza, andiamo avanti e speriamo di riprenderci. Magari puntando senza mezzi termini su un modulo e dando fiducia ad almeno 8-9 giocatori, elevandoli al ruolo di titolari. Così, giusto per ridurre al minimo le contraddizioni e distribuire un pizzico di serenità finché c’è ancora un po’ di fieno in cascina.
La strategia invernale di mercato è stata chiara: oggi si può fare poco, ne riparliamo domani. Tradotto: a luglio quando, si dice, l’Inter godrà dei servigi di qualche parametro zero. I nomi sono i soliti: Ezequiel Lavezzi, Ever Banega (che sarebbe servito prima), Caner Erkin, Martin Caceres (forse…). Gente interessante, senza dubbio, molto utile per presentarsi con la giusta personalità al ritorno in Champions League, competizione inseguita dal 2012. Peccato però che il terzo posto vada raggiunto in questa stagione, altrimenti ogni discorso lascia il tempo che trova. E al momento serve tanto ottimismo per continuare a cullare aspettative, tanta fiducia nei confronti di questa squadra capolista fino alla 17esima giornata e oggi rotolata al quarto posto, tanto supporto a Mancini, che oggi sembra in palese difficoltà. Perché al netto delle lacune che attualmente paiono evidenti, non è il caso di mollare proprio ora che questo maledetto gennaio è andato mestamente in archivio. Se a luglio arriveranno davvero i sopra citati free agent, è un dovere essere iscritti alla prossima Champions League. Sempre con Mancini in panchina, forse. Però luglio è ancora così lontano…
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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