Il post partita di Singapore, dopo l’amichevole con Man Utd, ci ha dato in pasto un Antonio Conte preoccupato e scontento. Proprio come Spalletti, che chiedeva di rispettare i patti, come Mancini, che voleva un confronto con la società e, dieci anni prima, Mourinho che si lamentava degli esuberi e di una squadra non ancora all’altezza delle grandi d’Europa, come Benitez che ricordava quotidianamente di essere un allenatore professionista da 25 anni e dichiarava che la società non lo stava accontentando, la storia dei tecnici insoddisfatti (a torto o a ragione) è lunga. La marcia indietro del nuovo tecnico nerazzurro è invece più simile alla comunicazione di Spalletti. Da una parte il tecnico distende il clima dicendo: "Saranno fatte delle riflessioni e saranno prese delle decisioni per il bene dell'Inter. C'è bisogno di tempo per creare una base solida per portare il club al livello a cui compete". Poi sostenendo sibillinamente: "Certo che le decisioni possono spostare l'ago della bilancia e anche le aspettative".

Il fatto nuovo è la voce persistentemente alta, tenuta da Marotta e Conte, nel manifestare inquietudini e intenzioni. Considerando che une delle premesse di questi anni era come la Juventus fosse brava nel gestire le sue faccende sotto silenzio. 
E’ una scelta i cui frutti saranno chiari e giudicabili più oggettivamente il 2 settembre.
L’Inter ha un patrimonio tecnico che ha deciso di liquidare legittimamente dal punto di vista tecnico, meno da quello comunicativo.  La fiducia assoluta nel lavoro di Marotta c’è, come anche il dubbio per la scelta di svilire l’immagine e il valore di due/tre giocatori che Conte non ritiene funzionali al progetto. 
Liberissimi di disfarsi dei tre giocatori che, fino alla scorsa stagione, erano considerati tra i più forti insieme a Skriniar e De Vrij. Se si cambia direzione, modulo e si vuole intraprendere una strada più netta è comprensibile tagliare i rami secchi, anche se sono enormi.
Per questo può dispiacere ma sono scelte delegate ad una dirigenza che, di comune accordo con il nuovo tecnico, sta cercando di imporre una nuova idea tecnica, abbinandola a quella di un nuovo modulo e del gruppo prima di tutto. 
Può stupire, dispiacere o esaltare ed è giusto parlarne, perché l’Inter si discute e si ama, si discute e si sostiene, simultaneamente, con la propria testa ed una diversa sensibilità.
Siamo tutti d’accordo nell’aspirazione di vedere l’Inter vincere sempre e con tutti, abbiamo tutti la stessa passione e gioiamo e soffriamo per una squadra che, soprattutto negli ultimi anni, ha toccato il fondo ed è parzialmente risalita. Siamo divisi sulle soluzioni e le modalità per tornare al successo. 

Per questo è stupido dividersi ad esempio in Icardiani ed anti Icardiani, con la sola modalità dell’estremismo narrativo. 
Considerare un “Icarder” espresso in modo dispregiativo, chi dubita sia un vantaggio cederlo ad una diretta concorrente come il Napoli, o semplicemente chi avrebbe voluto riavvolgere il nastro, nel tentativo di salvare un patrimonio tecnico, è frutto di mera intolleranza. E’ una situazione non semplice da comprendere, a prescindere dalla fiducia che spesso molti tifosi rinfacciano, senza un argomento ma il solo mantra: “Marotta e Conte sanno quello che fanno!”.
Ho personalmente ascoltato questa opposizione fiera ma stolida verso qualsivoglia perplessità, come se a manifestarla fosse un nemico: “non siete veri interisti”. Il tifo si è così appiattito da innamorarsi del nuovo, rinnovare il tagliando della fede, credendo negli uomini, ancor prima che nel loro operato, grazie ad un altro luogo comune diventato dottrina: “poi scendete giù dal carro”. Negli anni in cui l’Inter ha portato allo zenit la presenza allo stadio, riuscendo a fare sold out negli abbonamenti e creando uno straordinario movimento d’interesse, Suning ha rivolto il suo sguardo al pianeta, imbastendo la più ambiziosa campagna di comunicazione della storia nerazzurra.
Ancora una volta, a maggior ragione oggi che l’Inter non è più sotto scacco del settlement agreement, abbiamo la speranza che la società vada di pari passo con le ambizioni commerciali e comunicative, regalandosi una squadra di altissimo livello. 
Non è corretto avere dei pregiudizi ma è normale, persino giusto, avere delle incertezze.

Togliere improvvisamente la fascia di capitano a Icardi, usare il pugno duro e annunciare pubblicamente che non fa più parte dell’Inter può far anche godere la maggioranza dei tifosi, i quali poi però dovrebbero anche chiedersi che effetto ha prodotto questa strategia. Altrettanto per Nainggolan, portato in tournee per rinnovargli, sempre pubblicamente di essere fuori dal progetto. E’ lecito persino avere delle perplessità sulla gestione Perisic. Conte sapeva che avrebbe avuto a disposizione questa rosa ma scopre solo in tournée che Perisic non è adatto al ruolo che intendeva fargli fare e, anche lui lo annuncia al mondo. Tre asset dell’Inter da vendere ma, contrariamente alla banale legge del silenzio da grande squadra, si procede alla svalutazione pubblica di tre giocatori che, per intenderci, se fossero stati ceduti tra giugno e luglio ad altre squadre per una cifra congrua, pochi avrebbero avuto da obiettare. 
Marotta dice che qualcosa si sta smuovendo per la cessione di Icardi e Nainggolan e la fiducia che stia facendo un gran lavoro c’è tutta, anche più forte di chi critica i critici e poi svuota il caricatore della rabbia dopo una o due amichevoli andate male. 

Sezione: Editoriale / Data: Mer 24 luglio 2019 alle 00:00
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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