Siamo francamente stufi di tutta questa narrazione anti-Inter, ed è il momento di parlare chiaro. Basta. Basta racconti di partite mai esistite, basta creazioni di casi ad hoc, basta mutismi quando a essere penalizzata è la squadra nerazzurra. Basta, davvero. E non è una questione di Inter-Cagliari, ma di un andazzo che perdura ormai da anni. L'espulsione di Lautaro Martinez contro i sardi e i commenti a posteriori restituiscono l'esatta fotografia di come funziona da queste parti. Da un lato c'è il campo, dall'altro chi lo racconta. E niente va come dovrebbe andare in un Paese normale.

Sul terreno di gioco, si vede un arbitro che all'improvviso inizia a fischiare a senso unico contro l'Inter, forse timoroso di aver convalidato un gol che per i cagliaritani era da annullare. Fin lì, Manganiello aveva diretto discretamente, anche perché era successo poco o nulla. Poi l'oblio. Senza fine. Sul gol dell'1-0 s'incendia la panchina sarda e tutti i rossoblu in campo, ma l'attaccante nerazzurro non fa fallo. Qualcosa però succede perché, prima di convalidare il gol, l'arbitro dialoga con i suoi assistenti in sala Var. È una circostanza in cui il Var non può intervenire a termini di protocollo, poiché l'insignificante contatto Lautaro-Walukiewicz è stato giudicato live dal direttore di gara. Ma questo evento mina la serenità di Manganiello. Non parliamo del rigore di Oliva su Young, della gamba tesa di Joao Pedro su Godin o del cartellino rosso nel finale. No. Parliamo della gestione del match più in generale: una direzione univoca, con falli e falletti sistematicamente fischiati da una parte (esempio: Simeone 'sviene' al limite dell'area ed è fallo in zona ghiotta) e mai dall'altra (Lautaro e Lukaku continuamente strattonati e spintonati, ma mai un fischio che sia uno). Si crea un clima surreale, con San Siro che esplode in un boato ironico su un fischio a metà campo in favore del numero 10 di casa. E non è la prima volta che la squadra nerazzurra viene arbitrata in tal maniera (Giacomelli a Lecce il ricordo più fresco).

A ciò si aggiunge appunto un racconto di una partita mai giocata. Si parla e si scrive di un Cagliari che "non ha rubato nulla", che "ha meritato il pari" e di un'Inter "apatica", "poco viva", "rinunciataria", "in affanno". La verità? C'è l'ossessione del possesso palla. Una sorta di sindrome. Quando una squadra gestisce il pallone per lunghi tratti del match, dà l'impressione di dominare. Mero effetto ottico. Nel calcio serve fare gol e, quindi, creare i presupposti per segnare una rete. Il Cagliari ha avuto maggior possesso palla? Vero. Occasioni nitide? Una, nel primo tempo, con Simeone. Per il resto, il gol arriva su tiro dalla distanza e centrale di Nainggolan reso imparabile da una deviazione di Bastoni. Al contrario l'Inter, che nella ripresa ha lasciato l'iniziativa agli avversari, ha sciupato tantissime chance. Ecco, se un problema c'è stato, è stato quello di non concretizzare. Eppure, ascoltando e leggendo pseudo esperti, sembra che il Cagliari abbia preso a pallate l'Inter. Poi vai a vedere il derby di Roma e la sfida del San Paolo, e ti accorgi che a essere prese davvero a pallate sono state Lazio e Juventus. Ma, evidentemente, non si può dire. All'opposto, sull'Inter si può sempre spalare letame. Si può paralre di "crisi di nervi" dopo una partita come quella di domenica, si può criticare il gioco di Conte, si può mettere alla gogna Lautaro, si può creare il terreno per squalifiche esemplari, si può restare muti quando l'arbitro penalizza evidentemente i nerazzurri, si può prendere di mira Godin, si può vivisezionare il frame dello sputo di Ranocchia, si può innescare il dubbio sulla bontà dell'affare Eriksen, si può sorridere dell'acquisto di Young, si può fare ironia sui milioni spesi per Lukaku. Si può fare tutto. The same old story.

Basta. Dal campo all'inchiostro. Basta.

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Sezione: Editoriale / Data: Mar 28 gennaio 2020 alle 00:00
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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