Nessuna misericordia. Non c'è traccia alcuna di pietà. Alla fine il protagonista muore, senza possibilità di scappatoia. Vana l'attesa per un colpo di coda, per una via salvifica che depuri e che sfoci nel lieto fine. Non c'è lieto fine. C'è solo la fine.

Mauro Icardi non farà parte dell'Inter: punto e basta. Troppo grave il suo comportamento nel corso della passata stagione: questo il giudizio di Antonio Conte, che non ha esitato ad assecondare la strada scelta da proprietà e dirigenza. L'ex capitano a breve sarà anche un ex giocatore dell'Inter, perché dell'Inter non può più farne parte. E il fatto che accetterebbe la Juventus non è altro che l'ennesima conferma di un rapporto ormai deteriorato in ogni sua parte. Quello che è stato il giocatore simbolo degli ultimi anni potrebbe mai andare dall'acerrima rivale? Sì, eccome. L'Inter lo sa e di certo non lo impedirebbe. Per mille motivi, non solo economici. Il vaso è rotto, rimettere insieme i pezzi è impossibile. È ora che tutti lo capiscano.

E dal tanto amore si passerà al tanto odio, sportivamente parlando. Perché in caso di passaggio in bianconero, anche il più integerrimo degli Icarders dovrà ammettere la sconfitta. Odio e dolore, un dolore ineluttabile. Perché nessuno può negare il contributo fornito alla causa nerazzurra da Maurito. L'attaccante preso ragazzino dalla Samp, capace di raccogliere l'eredità di Milito, di farsi carico di responsabilità belle grosse (e non solo in campo), di metterci spesso e volentieri la faccia e di mettersi a disposizione del suo club con professionalità e fierezza. Una fascia di capitano che poteva sembrare stonata all'inizio, ma che poi s'è guadagnato con fatica, sudore e gol. Tanti gol. Perché a Icardi si può rimproverare tanto, ma di certo non il fatto di non inquadrare la porta. Una sentenza. E questo acuisce ancor di più il sentimento del tifoso interista, che si era legato tanto al suo numero 9. Ne aveva fatto un beniamino. Quasi un feticcio. Un'ancora alla quale aggrapparsi nei momenti di burrasca. Una speranza per un futuro nuovamente glorioso. Quei gol in Champions League – la sua prima Champions League – a zittire i detrattori. E proprio adesso che il tunnel imboccato otto anni fa pare superato, l'addio. Un lungo addio.

Ma andare avanti insieme non si può. Società e allenatore non si sottrarranno alla responsabilità, quasi fosse un rituale: passaggio obbligato per rinascere a nuova vita. Il Cervo Sacro sarà sacrificato. Senza misericordia. Senza via di fuga. Nessun dio lo salverà. È la fine. Ma anche l'inizio.

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Sezione: Editoriale / Data: Mar 18 giugno 2019 alle 00:00
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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