E non vissero tutti felici e contenti. Troppo bella, quasi commovente sarebbe stata la favola dell'Inter e del suo mercato invernale per concludersi con un'altra vittoria che concedesse l'ennesima frase quasi registrata, "questo gruppo va bene così". In effetti, in Corso Vittorio Emanuele tutto tornava: le stiamo vincendo tutte, siamo a posto, non c'è bisogno di comprare. E invece no. Il pifferaio magico ha smesso di suonare anche perché al suo seguito non ci sono i tifosi immedesimati nei topolini della favola. Perché la Curva Nord a rappresentanza di tutto il popolo dell'Inter lo aveva palesato: "Serve chiarezza", ovvero servono acquisti, altrimenti chiarezza si traduce in un sostanziale 'diteci che dobbiamo ridimensionare le nostre idee'. Un concetto al quale un tifoso dell'Internazionale di Milano mai si rassegnerebbe, possiamo starne certi.

E allora è arrivata la sconfitta di Lecce, puntualissima, quasi salutare. Il gol di Giacomazzi è come una freccia che si conficca negli uffici del presidente Moratti: l'Inter non può reggere i ritmi tenuti finora, non ha gli elementi necessari, non è all'altezza e non può perdere il treno Champions. A rendere il tutto un po' più irritante è stato l'atteggiamento della squadra nel primo tempo. Una roba inguardabile. Tacchi, controtacchi, leziosismi, qualcuno sembrava stesse giocando con i figli in giardino, qualcun altro che davanti al portiere sul risultato di 0-0 preferiva magari dilettarsi in un velo piuttosto che frantumare la rete alle spalle di Benassi, esaltatissimo protagonista di un dramma costruito e disegnato unicamente dall'Inter. La sconfitta di Lecce è stata brutta, bruttissima. Anche perché la ripresa con il 4-4-2 che doveva riportare equilibrio ci ha restituito invece un'Inter senza alcuna idea, affidatasi al puro caso, ma stavolta non leziosa perché in svantaggio: e allora sì che ci si comincia a preoccupare, spariscono i fenomeni che si consentono i tacchetti in area di rigore. Ma il Lecce è chiuso, mica ti fa passare. E' stata una lezione da chi aveva incassato 26 reti in 12 gare in casa con un solo punto all'attivo tra le mura amiche. Non sono neanche numeri, sono insulti. Eppure Cosmi ha costruito il suo piccolo capolavoro che va applaudito, molto più dell'Inter di ieri, delle fighette che si lamentano se non arriva il pallone sui piedi quando poi davanti al portiere si cerca la giocata di classe.

Il risultato è un'Inter sconfitta, al tappeto, prima convinta di essere straordinariamente superiore e poi riscopertasi piccola perché non in grado di scardinare una difesa se non da calcio piazzato. Non c'è uno schema, un'idea. Non ci sono attributi. O meglio, ci sono, ma non sono stati tirati fuori: perché Maicon nel derby è un cavallo impazzito e a Lecce è in gita di piacere, per dirne una? Questo è quanto di peggio, un segnale tremendo, ma il non-gioco della ripresa è un dardo infuocato che Moratti deve saper cogliere. Senza Thiago Motta cala il buio, ci si affida ai dribbling di Zarate (...) e a un Samuel più incisivo di Pazzini. Insomma, c'è qualcosa che non va. Ma pensare che trattenere Motta - dovrebbe essere il minimo - e prendere Juan Jesus sia un mercato degno di questo nome significa suicidarsi e denigrare il prestigio dell'Internazionale.

Nessuno chiede Tévez, David Silva e Schweinsteiger, ma se la Juventus che è prima e il Milan che è secondo si sono rinforzate - e non poco - un motivo ci sarà. Se davvero l'Inter per l'Apache faceva sul serio come ha giurato Moratti, vuol dire che siamo consapevoli della necessità di rinforzi. E questo mi dà fiducia, perché qualcosa faranno i nostri dirigenti. Non sono dilettanti, anzi, sono di primissima qualità. E come serviva un centrocampista prima, ne serve uno anche adesso, con o senza Motta. Servirebbe anche una variante in attacco. Perché questo gruppo non ha tanta benzina, né tante variabili, l'alternativa è rischiare di rimanere fuori dalla Champions. Sarebbe una catastrofe. Se in dirigenza volessero provarci, che lo facciano, ma non si aspettino topolini dietro ai pifferai. Siamo l'Inter, prestigiosi ma anche umili quando c'è da esserlo: chi difende quei colori in campo rimembri l'umiltà, chi difende quei colori dietro a una scrivania rimembri che stiamo giocando col fuoco. Il tempo scade martedì, la fiducia dei tifosi chissà...

Sezione: Editoriale / Data: Lun 30 gennaio 2012 alle 00:01
Autore: Fabrizio Romano
vedi letture
Print