Eyes wide shut. La stagione dell'Inter 2019-2020 è un viaggio sensoriale vissuto attraverso gli occhi di Antonio Conte, due fessure che si aprono sul mondo dentro e fuori la testa del tecnico stesso. Impossibile decifrare il film dei primi cinque mesi nerazzurri se non con lo sguardo dell'ex ct della Nazionale, ora maggiormente consapevole dopo aver visto situazioni che prima del 31 maggio poteva solo immaginare. La realtà variopinta sperimentata dall'allenatore leccese dopo aver attraversato i cancelli di Appiano Gentile è ben diversa da quella in bianco e nero vissuta qualche anno fa alla Juventus, ricordo sbiadito di un passato che torna a essere vivido nel verde, bianco e rosso del tricolore.

Tutti i punti di vista, a pensarci bene, ruotano attorno al concetto di 'scudetto': se prima dell'avvento di Conte a Milano era un sogno ricorrente sotto l'ombrellone, ora è un dato di fatto con cui fare i conti mentre cadono le foglie. Alla leggerezza gratuita di una fantasia estiva si è sostituita la preoccupazione autunnale generata da una miopia che costringe a vedere nitidamente un obiettivo vicino un solo punto ma confuso quando lo si dilata fino alla 38esima giornata. Un paradosso - esplicitato da King Antonio dopo il pareggio imposto dal Parma a Lukaku e compagni - che è stato determinato dal cambiamento di prospettiva con cui la Beneamata da qualche tempo a questa parte si pone di fronte alle sue ambizioni: il secondo posto a un punto dalla capolista è il minimo per la storia del club ma allo stesso tempo il massimo per questo gruppo che con pochi ricambi all'altezza dei titolarissimi ha portato la macchina quasi a fondere il motore dopo appena dieci turni. "La classifica è lì ma non ci deve fare chiudere gli occhi e pensare che sia tutto ok", ha puntualizzato Conte da bravo pilota che sa che deve completare ancora un po' di giri prima dell'agognato pit stop di gennaio, dove servirà il giusto rifornimento per scongiurare l'arrivo senza benzina sotto la bandiera a scacchi di maggio.

Le poche sbandate che fanno perdere terreno registrate in questo primo quarto di percorso sono state praticamente inevitabili e obbligano a prendere le curve successive a occhi chiusi per non guardare il pericolo imposto dall'eccessiva velocità. A tal punto di ricorrere al famoso segno della croce – Conte dixit – per evitare altri danni all'automobile già ammaccata da una serie di problemi di tenuta. E' severamente vietato, dunque, pensare di andare col pilota automatico quando il battistrada ha il motore più potente e conosce a memoria le insidie del tracciato. E' una corsa verso il traguardo realisticamente impari, anche se da sotto il casco non si può avere la visione di insieme che hanno dal muretto. Le scuderie Inter e Juve, infatti, fuori dalla pista non sono così lontane come succedeva solo qualche anno fa, la lungimiranza di Suning ha agevolato questo nuovo scenario che sta assumendo i connotati di un testa a testa, un duello economico-finanziario che per ora ha il suo riverbero anche nell'imprevedibilità dell'esito finale del campo. Luce accecante come l'atto del guardare la targa o l'avversario nello specchietto prima di un sorpasso che distoglie la concentrazione dal percorso. Cosa fare, dunque, quando Cristiano Ronaldo suona il clacson prima di mettere la freccia e schizzare davanti tagliando la chicane con una manovra ai limiti? Serve continuare a correre al proprio ritmo, facendo rombare tutti i cavalli del proprio motore. Sperando di aver puntato su quelli che non si fanno distrarre da quello che gli accade attorno. Dotati di paraocchi per ignorare l'evidenza di una superiorità che va spezzata nel suo manifestarsi ciclico. Come Lukaku e Lautaro in mezzo al campo dello stadio stadio Rigamonti, due ragazzi stretti in un abbraccio che non vedono altro che il proprio compagno di squadra. Da lì deve ripartire l'Inter: il noi di due sguardi carichi di intesa, moltiplicati per tutti gli uomini in rosa.

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Sezione: Editoriale / Data: Gio 31 ottobre 2019 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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