Piano piano, lentamente, i tifosi dell’Inter stanno metabolizzando la nuova realtà romanzesca, dove Beppe Marotta e Antonio Conte, rivali storici bianconeri sono oggi i punti di riferimento dell’ecosistema nerazzurro. Le questioni di sangue, bandiera, riconoscibilità, appartenenza e mano sul petto, sono andate da tempo in memoria, a favore di una società cosmopolita, rivolta all’internazionalizzazione del brand, alla crescita dei ricavi, allo sviluppo della società e dei suoi asset, che per fortuna ora sembrano finalmente coincidere con l’ambizione del successo sul campo. 
La diffidenza di una parte del popolo interista è in gran parte condivisibile, così come l’altra, animata al contrario dalla convinzione cieca in Suning e nei suoi piani di conquista. Nel primo caso le leggende urbane si intrecciano con uno scetticismo di fondo, motivato da massimi sistemi sula politica cinese, conoscenze in ambito finanziario che suggeriscono tregende e scenari cupi, in contrapposizione agli entusiasmi facili.
Zhang in effetti, già un anno fa, aveva promesso un Inter tra le prime al mondo, una società con grandi ambizioni che aveva intenzione di fare grandi investimenti. La realtà è che quel tipo di dichiarazione da parte del giovane Steven, fu avventata o semplicemente troppo in anticipo rispetto agli eventi che oggi permettono di essere ragionevolmente più ottimisti. 
Essere usciti dal settlement agreement, poter avere una lista al completo, senza epurazioni rese necessarie dai vincoli rigidissimi (con chi gli pare) dell’Uefa, al punto da rendere monca la squadra nelle coppe, è un vantaggio notevole. 
Avere un allenatore di grande livello, un dirigente riconosciuto come uno tra i migliori al mondo, il ritorno (non ancora sicuro) di Lele Oriali e una società che aumenta i ricavi consistentemente, mentre il pubblico nerazzurro affolla lo stadio e si abbona con numeri record, è un insieme di notizie che incoraggiano la positività e mettono in circolo quel tipo di ottimismo reclamato dai duri e puri che, in questi anni di sesti, settimi posti, non accettavano critiche e abbaiavano contro chi dubitava. 
Oggi le basi sono dunque un po' più solide ma non sappiamo quanto e andrà verificato già dal mercato che metterà in piedi una dirigenza che dovrà colmare prima il gap con il Napoli, poi quello con la Juventus. 
Torniamo alla questione identitaria e riflettiamo su Antonio Conte, partendo da ciò che oggi è l’Inter e dal fatto che, dopo Moratti, si è inserito nella storia Erick Thohir, propedeutico all’ingresso in scena di Suning con il processo di aziendalizzazione di un club dalla natura bizzarra e la storia piena di formidabili e irritanti contraddizioni.  
Non so quanto Conte conosca l’Inter e la sua storia. Certamente la conosce da avversario ma, se si ha l’ambizione di voler trasformare la squadra in una macchina da guerra affidabile e priva di svarioni inaspettati, è necessario apprendere bene il passato del club e le sue dinamiche, senza per forza vestirsi dei suoi panni ma rispettandolo, nel vero senso della parola. 
Non mi aspetto che Conte diventi il primo interista, né che i tifosi con le eventuali vittorie lo amino come Mourinho, ma mi auguro che Antonio Conte, abituato a restare due, al massimo tre anni sulla panchina di riferimento, capisca l’Inter, senza volerla trasformare solo a sua immagine somiglianza, come se ogni club e ogni storia fossero tutte uguali. Mourinho si trovò bene nell’Inter perché ebbe il tempo di studiarla, così come prima aveva fatto con il Chelsea e il Porto. Le dinamiche delle società e i trascorsi cambiano i percorsi di allenatori bravissimi e così Mou ha fatto bene ma non benissimo al Real e al Manchester Utd, così come Guardiola, pur restando un tecnico vincente, non si è fatto amare al Bayern Monaco. Conte fa parte di quella categoria di allenatori che spreme i cervelli, stressa sé stesso e l’ambiente ma funziona soprattutto se attecchisce.
Essere l’allenatore dell’Inter non sarà la stessa cosa per lui e non lo sarà nemmeno per un pubblico fiducioso ma stranito, diviso ma curioso verso un tecnico a cui, molto pragmaticamente oggi si chiede di tornare a giocare per vincere e non piazzarsi.
Lo ha detto anche lui: otto anni senza lottare per lo scudetto sono troppi ma conterà tanto la capacità di empatizzare col nerazzurro, pur rispettando la sua matrice bianconera che può dar fastidio come lo possono dare le cose più importanti tra le cose meno importanti della vita. 

VIDEO - CONTE E LO STAFF A MILANO, POSTE LE BASI PER LA NUOVA INTER

Sezione: Editoriale / Data: Mer 12 giugno 2019 alle 00:00
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
vedi letture
Print