Sicché, oggi, siederanno sui gradoni del Meazza all’ora di pranzo più di 60.000 persone che hanno rinunciato, scientemente, alle lasagne mammone della domenica in cambio di novanta minuti di passione nerazzurra. La cosa, per noi interisti, non è una notizia; siamo abituati, ormai da anni, a riempire il nostro stadio nonostante tutto e tutti. Casomai, ciò che sorprende, è che ci sia ancora chi si stupisce e ne fa pagine, paginone e paginette; domando scusa, ma non è una notizia 60.000 persone per una partita se gioca l’Inter. Dovreste averne preso coscienza, dal momento che siamo i tifosi più presenti allo stadio da tempo. Forse, ma forse beninteso, la situazione che si era creata dopo la chiusura del mercato aveva insinuato in una certa parte di media la strampalata idea che il popolo del cielo e della notte avesse deciso, non si sa bene per quale arcano motivo, di allontanarsi dalla squadra. Errore, ed orrore.
La maglia viene sempre e comunque prima di ogni altra cosa; e molto ma molto prima del colore della Proprietà. Che non frega niente a nessuno se è italiana, indonesiana, cinese, del Congo Brazzaville o viene da una riserva Hopi nell’Arizona nord-orientale. Il tifoso nerazzurro ama l’Inter in prima istanza tutto il resto è contorno o, per dirla alla De Niro, chiacchiere e distintivo; personalmente, anche in situazioni devastanti dal punto di vista del gioco e dei risultati, ho assistito ad incontri di calcio con oltre cinquantamila persone dove le star erano M’Vila e Kuzmanovic. Giusto per dirne due, senza aprire un vaso che Pandora, al confronto, sarebbe stata una dilettante allo sbaraglio. Il popolo nerazzurro ama indiscriminatamente ed incondizionatamente la maglia, i colori che la compongono; le beghe da cortile, i litigi eventuali con la Società detentrice della maggioranza delle azioni in quel momento, sono ciarle di poco conto, immediatamente dimenticate quando arriva il giorno della partita. Intendiamoci; questa fede, questo amore smisurato, non significa avere il paraocchi a mo’ di cavallo da tiro.
Poche, pochissime tifoserie sanno essere così dure con i propri dirigenti e giocatori come quella interista; ed ancor meno quelle che si sanno prendere ironicamente in giro, segno di grande intelligenza, come la nostra. Certo, di tanto in tanto la pazienza scappa; anche in un matrimonio perfetto, in un idillio d’amore degno del miglior Vincente Minnelli succede di scontrarsi, ma come ci ricordavano Delia Scala e Lando Buzzanca l’amore non è bello se non è litigarello. E quando si incazza il tifoso nerazzurro si incazza, non conosce le mezze misure; perché i colori vanno onorati e difesi, al di là dell’ingaggio faraonico che tizio o caio si mettono in saccoccia a fine stagione. Non è un problema di soldi, è un problema di rispetto per ciò che si indossa e che rappresenta milioni e milioni di amanti che non debbono essere traditi, perché non lo meritano. Vero, anni fa non eravamo così; se la squadra andava bene allora la gente riempiva i gradoni del Meazza, in caso contrario molti preferivano le lasagne di cui sopra seguite da una sana pennichella e dalla voce storica di Roberto Bortoluzzi che introduceva i vari Enrico Ameri, Sandro Ciotti e compagnia cantante. Altri tempi, altro calcio, altre storie, altri miti. Se ci pensiamo è un vero peccato la “faccenda”, mai risolta, dello stadio di proprietà; tutte le grandi compagini europee (facciamo mondiali che viene meglio) hanno il loro impianto, la loro casa, il loro fortino inespugnabile. Che non porta solo lustro e notorietà, sia chiaro, ma anche un bel gruzzoletto di denaro da poter essere speso per migliorare squadra e potenziale tecnico; provate ad immaginare cosa saremmo oggi se invece di dover pagare un affitto senza trarre dal Meazza il benché minimo beneficio potessimo contare su un bel mucchio di soldini derivanti da ristoranti, supermercati, cinema e tutto ciò che fa da corollario alle moderne arene calcistiche.
Ad ogni modo inutile tirare in ballo il discorso, in questo paese il futuro arriva sempre dopo in certi campi; e lo sport – non solo il calcio, sia chiaro – fa parte di questi campi purtroppo. Aspettando il prossimo che ci racconterà di come verrà studiata una legge apposita per facilitare la costruzione di stadi di proprietà; e poi ci lamentiamo della pochezza del campionato italiota, ormai stabilmente ad anni luce da Premier, Liga e Bundesliga. Per fortuna sopravanziamo la Ligue 1, in pratica una passerella del PSG (sarei curioso di ascoltare i soloni dell’UEFA ed il loro fantasmagorico Fair Play Finanziario a tal proposito; ma se la caveranno con una multa che lo sceicco pagherà senza battere ciglio – ammonterà ai guadagni di una giornata di estrazione petrolifera – e tutto tornerà nel dimenticatoio in attesa della prossima multa. Complimenti vivissimi), la Liga Nos e perfino la massima serie ucraina e russa. Roba da capogiro insomma. Tornando a casa nostra stimo Spalletti un po’ di più ogni giorno che passa; non dice mai banalità da conferenza stampa che nemmeno la Pravda ai bei tempi, è sottile, parla di argomenti interessanti come l’appartenenza e la storia interista e non la fa mai fuori dal vaso. Sono sincero, è dai tempi del Vate terracqueo, di colui che tutto può, che non mi sentivo tanto coinvolto da un tecnico; neppure il Mancio, per cui ho da sempre un debole mai nascosto e che non rinnegherò di certo ora, aveva toccato certe corde utili a scatenare una reazione positiva nell’ambiente. E con ambiente non intendo solamente i giocatori; del buon Luciano da Certaldo sono invaghiti un po’ tutti, dai magazzinieri ai dirigenti. Merito delle parole del tecnico, che non le manda mai a dire, tratta i suoi calciatori allo stesso modo, non ci sono figli né figliastri, e responsabilizza in maniera fattiva chiunque orbiti in area nerazzurra. “La storia dei nazionali più stanchi? Balle, sono i migliori, devono dare loro l’esempio” o “…noi nei 60.000 di oggi non abbiamo messo mano. I meriti sono di quelli prima di noi – che hanno fatto la storia del calcio aggiungo io –“ non sono frasi buttate lì a casaccio; servono per dare carica a chi magari potrebbe avere le pile leggermente scariche e per ricordare a tutti cos’è l’Inter. Perché la nostra non è una maglia qualunque, bisogna che i giocatori se ne rendano conto; e Luciano è lì per rammentarlo.
L’Inter è la storia del calcio, mondiale beninteso, un patrimonio di milioni e milioni di tifosi; nonostante tutto, nonostante tutti, il popolo nerazzurro è sempre presente, sempre a cantare, urlare, gioire, piangere o ridere. Ditemi Voi chi c’è meglio di noi. Ci vediamo al Meazza. Amatela, sempre. E buona domenica a Voi!
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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