Una precisa impostazione tattica, con i giocatori chiamati a coprire tutto il campo fin quasi alle linee laterali, a difendere con aggressività sin dai primi metri e a proporsi in avanti in schieramento massiccio; qualche buona indicazione da alcuni singoli, su tutti i due marcatori Stefano Sensi e Marcelo Brozovic che a parte le reti che hanno deciso la partita hanno mostrato di avere già un discreto feeling e buona concezione dei propri compiti; forse qualcosa ancora da rivedere nei meccanismi della difesa a tre, in attesa di Diego Godin, mentre assolutamente ingiudicabile è l’attacco. Ma tra le tante indicazioni date dalla prima uscita stagionale dell’Inter, quella di ieri pomeriggio contro il Lugano, si fa largo una prima certezza: delle urla e delle attenzioni di Antonio Conte, i nerazzurri non si libereranno mai.

È stata la sua giornata, prima ancora che quella dell’Inter: anche se si trattava di una semplice amichevole, la fame di tornare in campo dopo il periodo sabbatico del tecnico salentino si è sentita fin da subito. Una molla, Conte, un martello pneumatico che dopo aver picchiato continuamente sulla testa dei dirigenti nella prima fase del mercato, ecco trasferire sul campo e sui suoi uomini tutta la foga agonistica che lo contraddistingue. La sua è una partita nella partita, che comincia sin dal calcio d’inizio: mai seduto in panchina, il mister scalpita, consuma l’erba della sua area di competenza, sbraita, si agita, comanda, segue il gioco, applaude e rimprovera. E non contento, segue anche Ivan Perisic che dopo la sostituzione si reca negli spogliatoi premurandosi di sapere se aveva chiesto l’autorizzazione. Piccoli segnali che fanno capire il tipo di Inter che vuole Conte, quella dove si deve rigare il più possibile dritto anche nelle minuzie se si vogliono dei risultati. Una scossa elettrica continua, chissà se un giorno arriverà anche a Dalbert che ieri ha ripreso dove aveva lasciato la scorsa stagione, preso spesso in infilata dalle sue parti…

Si è concluso così, con questo successo che lascerà magari il tempo che ha trovato ma fa sempre morale, il ritiro 2019 dell’Inter, che ora attende di prendere il volo per l’Asia dove i nerazzurri sono attesi dagli impegni, questi sì ben più probanti, contro Manchester United, Juventus e Paris Saint-Germain. Un ritiro anomalo, blindato, più volte anche contestato, voluto talmente al riparo da occhi indiscreti da scatenare addirittura azioni degne di una vera e propria spy story. Ma che, proprio sabato, ovvero nel giorno in cui si è registrata una parziale apertura all’esterno, ecco regalare il colpo di scena: dopo un’intera settimana passati ad allenarsi più o meno blandamente, Mauro Icardi ha deciso, di comune accordo con il club (almeno, così recitava l’Inter su Twitter, ormai divenuto il mezzo principale per le comunicazioni più drastiche), di lasciare la Svizzera e tornare a Milano, con annessa mancata partecipazione alla tournée. Il tutto, a quanto pare, a causa delle condizioni fisiche non esattamente ideali del giocatore argentino. Le stesse che lo hanno portato sabato scorso ad allenarsi a parte per sostenere un lavoro di ‘ricondizionamento fisico’.

Ma inevitabilmente, l’allontanamento, seppur concordato, dal gruppo, suona come l’ultimo capitolo di una vicenda ormai diventata annosa ma dal finale già scritto in partenza: l’addio di Mauro Icardi all’Inter, un finale che indubbiamente si consumerà anche se non è ancora dato sapere tempistiche e modalità. Nel frattempo, questa brutta storia continua a riempirsi di capitoli dal tenore sempre più grave, con ampie incursioni nel territorio del grottesco. E che vedono sempre più protagonista in negativo il giocatore stesso, in compagnia della sua moglie-agente: da quel maledetto 13 febbraio, è stato un susseguirsi di episodi clamorosi, dal rifiuto di partire per Vienna all’intervento di un legale suggerito da Massimo Moratti (e qui i perché continuano a sprecarsi), passando per le pesanti parole più volte spese da Luciano Spalletti nei suoi confronti, fino al rientro in campo forzato più dalla ragion di Champions nel quale però ha fornito un contributo irrisorio, fino a quest’ultima uscita. Perché anche la mera analisi di quelli che sarebbero i risultati dei test atletici che vedono Icardi nettamente in ritardo di condizione rispetto agli altri induce a una rilfessione, ovvero un Maurito che durante l’estate a tutto ha pensato fuorché a pensare a mantenere un livello di forma tale da reggere l’urto degli allenamenti straordinariamente intensi del nuovo allenatore.

Nel mare di colpe di questa situazione adducibili al giocatore, però, non si può pensare che non ci sia una sacca anche importante di responsabilità anche della dirigenza di Viale della Liberazione. Perché sarebbe fuori di logica pensare che un giorno Icardi si sia svegliato con il piede storto e abbia deciso improvvisamente di dare di matto andando a funestare un ambiente che comunque stava vivendo una relativa serenità, nonostante le discussioni sull’eventuale rinnovo di contratto possano anche aver preso una piega non desiderata. Dal declassamento in favore di Samir Handanovic, fino all’epurazione annunciata urbi et orbi da Beppe Marotta, anche sull’altro fronte spesso sono state non propriamente meritevoli di applausi le esibizioni nella gestione di questa situazione.

Probabilmente forte, oltre che della durata del contratto, del pensiero che, comunque vada, alla fine la cessione di Icardi porterà comunque un grosso beneficio nelle casse societarie in termini di plusvalenza visto l’irrisorio peso a bilancio, e magari confortata anche dalle proiezioni di cresciuta di fatturato tali da pensare di poter attutire senza danni il mancato introito dalla cessione di un Icardi a pienissimo regime e foriero di offerte pesanti (scenario, tra l’altro, mai verificatasi davvero anche quando Mauro di gol ne segnava a grappoli), dalla parte societaria è stato un continuo calcare la mano, a tratti anche improvvido, su una situazione precipitata, volutamente o meno, fino alla paradossale situazione odierna, dove si parla tanto di giocatori come asset patrimoniali da non svalutare ma ci si cura poco del fatto che alla fine uno di questi è stato oggettivamente svalutato in modo pesante, ma si possono benissimo fare orecchie da mercante perché, alla fine, la cosa più importante è togliersi questo dente il prima possibile.

Tutto il resto, dai post su social a tratti un po’ pacchiani fino alle presunte ripicche annunciate dal giocatore pronto a farsi vedere dall’Inter solo il 27 del mese e addirittura a incorrere in potenziali liti temerarie, è triste conseguenza degli eventi di una storia dove non ci sono comunque né vincitori né vinti. Ormai per i tifosi la questione Icardi è diventata un vero e proprio macigno e ormai il sentire comune, fatta salva una sacca di resistenza di alcuni irriducibili icardiani, è di un addio ormai scritto che non genererà rimpianti, anche qualora, ed è questa la conclusione che sembra scritta, dovesse finire a indossare la maglia dell’arcirivale Juventus. Semmai, il rimpianto rischia di essere tutto suo, lui che è emerso come attaccante di razza negli anni più difficili della storia recente dell’Inter, dove spesso ha cantato e portato la croce tentando di mascherare la mediocrità generale, ma che alla fine abbandonerà la nave proprio nel momento in cui l’Inter sembra essere uscita definitivamente dalle secche e pronta a intraprendere un nuovo cammino.

Un’Inter che vuole cambiare pagina, che vuole respirare aria nuova, quella che anche Icardi dovrà trovare. Magari in breve tempo. Chissà se con buona pace di tutti.

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Sezione: Editoriale / Data: Lun 15 luglio 2019 alle 00:00
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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