Diventare un grande calciatore senza conoscere i campioni del calcio che corrono dentro la tv. Giocare in strada, in cortile, in un campetto spelacchiato da bambino senza gridare il nome di un fuoriclasse mondiale se si fa un tunnel, un dribbling, un tiro ad effetto. O meglio ancora per aver raggiunto il massimo traguardo, lo scopo per cui si gioca a calcio: il gol, con la palla che entra in rete magari dopo aver scartato il portiere. Una rete immaginaria senza rete, fatta di soli tre pali un po’ storti, immaginando l’urlo di uno stadio pieno di gente che ti ricopre. Per un piccolo sembra impossibile giocare senza un grande da imitare eppure questa è una storia vera. “Il mio modello di giocatore è sempre stato uno solo, mio padre Mircea. Ha giocato poi è diventato allenatore di una piccola squadra romena. Quando ero un bambino non sapevo neanche chi fosse Maradona. Dove sono nato, a Resita, non avevamo la televisione, così non ho mai guardato le partite”.
La storia calcistica di Christian Chivu inizia così… Correva l’anno 1988 quando a otto anni vedeva 22 calciatori vestiti con maglie arancioni e bianche correre dietro a un pallone. La Romania era schiacciata dal regime comunista e quei pochi che avevano la tv in casa vedevano solo il canale di Stato. "Mi ricordo che riuscii a vedere la finale dei Campionati Europei tra l’Olanda e l’Urss, quella con il gran gol di Van Basten, grazie a un signore che reggeva un’antenna con le mani in cima a una collina. Davanti a quella piccola televisione eravamo seduti in più di cento, il segnale si prendeva a fatica spesso le immagini andavano via e tutti si arrabbiavano con lui”. Il talento di Chivu non può essere tenuto nei confini del regime. Il pallone se ne frega degli Stati e della politica. Non ha frontiere. Dalle giovanili del Csm Scolar Resita all’esordio in prima squadra del 1997/98 passano solo due stagioni. Il salto nel più importante nel club Universitatea Craiova lo mette sotto i radar degli osservatori dell’Ajax. In Olanda arriva nel 1999 e a soli 21 anni diventa capitano di una squadra di giovani talenti che vincerà uno scudetto e una coppa d’Olanda. Il calcio mercato del 2003 vedrà Chivu al centro di una contesa a colpi di offerte tra l’Inter e la Roma. La spunterà la società di Sensi. Ma l’arrivo alla Milano nerazzurra è solo rinviato. Nella capitale arriverà la vittoria di una Coppa Italia (in finale contro l’Inter nel 2006/07).
Il 27 luglio 2007 Chivu terrà una conferenza stampa di addio (caso più unico che raro). Per salutare i giornalisti, gli addetti ai lavori, gli amici dopo quattro anni in giallorosso. Un addio sentito condito da una gag. Vestito in borghese ma con già addosso i colori della sua nuova squadra (camicia celeste, pantaloni neri, scarpe blu ai piedi), sta finendo di rispondere alle domande quando dal fondo della sala parte il trillo di un telefonino rimasto acceso. Solo che, invece di una normale suoneria, parte il ritornello di “Pazza Inter”. Sembra uno scherzo preparato, ma non lo è. Risate generali a Trigoria e sorrisi di Chivu: “Bella ciliegina... Ma non era il mio telefonino che suonava...”. Si allenta, così, la tensione di un trasferimento di mercato caratterizzato da molti colpi di scena e che si è colorato di episodi antipatici come i fischi e gli insulti che i tifosi giallorossi hanno riservato al romeno. Cristian Chivu, ora, è ufficialmente un giocatore interista (in serata ci sarà il comunicato della Roma: 13 milioni, la metà di Andreolli valutata altri 3 milioni e l' incasso di un' amichevole).
L’accordo è stato chiuso da un blitz di Massimo Moratti che – confermando il suo modo d’essere un signore - ha raggiunto Roma per incontrare Rosella Sensi trovando rapidamente un punto di incontro, giudicato soddisfacente per tutti. Il difensore ci mette la faccia e spiega la sua decisione. “Ci sono - dice - treni che passano e che non tornano più: pensi alla tua età, alla carriera, quello che sarà il tuo futuro e quello della tua famiglia. Ci ho riflettuto molto, ma ho fatto una scelta di vita, come faccio da quando avevo 18 anni, mio padre era morto e sono andato via dal mio Paese per mantenere una promessa. Questo è il calcio, questa è la vita. Ci sono opportunità che devono essere prese”. Chivu guadagnerà 4,5 milioni netti all’anno per cinque anni. Si toglie anche qualche sassolino dalle scarpe: “Sono contento che le cifre siano quelle e che non sono un danno per la Roma (come avevano dichiarato i dirigenti romanisti, quando aveva rifiutato il passaggio al Real per 18 milioni di euro e la trattativa con l' Inter non si sbloccava, ndr)”.
Poteva utilizzare la clausola Fifa, ma non l' ha fatto. Arrivano domande sul suo rifiuto al Real Madrid. “Si può, se le tre parti non sono d' accordo. Non devo dare spiegazioni al Real, ho sempre deciso io, loro hanno portato avanti il mio desiderio. Prima del calciatore c' è l' uomo e sono riconoscente verso chi mi ha dato una mano. I Becali sono persone perbene, che si sono prese cura di me in questi dieci anni, saranno sempre nel mio cuore e resteranno con me per tutta la vita”. Sipario. La sua nuova vita sarà a Milano. Anno di cambiamenti, il 2007, per Chivu. Durante le vacanze in Romania accende la tv, quella tv che non aveva quando era piccolo e vede un programma sportivo su “Antenna 3” emittente romena. La conduttrice è Adelina Elisei. E’ un colpo di fulmine e Chivu fa di tutto per conoscerla. Corteggiamenti, regali, messaggi e alla fine lei accetta di conoscerlo. Dal primo fine settimana trascorso sul Mar Nero diventano inseparabili. L’anno dopo, il 3 luglio 2008, a Bucarest il matrimonio con rito civile, tre giorni dopo quello religioso. Il 12 febbraio 2009 nasce la primogenita Natalia, il 4 novembre 2010 la famiglia si allarga con l’arrivo di Anastasia.
Chivu sbarca a Milano il 28 luglio alle 23.30. Le sue prima parole sono all’insegna del puro entusiasmo. “Sono contentissimo di aver fatto questa scelta. L’Inter mi aveva seguito già quattro anni fa. Aveva fatto un’offerta all’Ajax ma poi si era inserita la Roma ed aveva chiuso l’affare. Il feeling con l’Inter è nato allora e mi hanno fatto piacere gli attestati di stima di questi ultimi mesi. L’Inter mi affascina per la forza del suo gruppo, per lo spirito di squadra, per la sua dimensione. Posso giocare in tre ruoli: centrale difensivo, esterno sinistro e anche mediano”. Poi lo sguardo sul presente immediato: “Ci sono obiettivi importanti e io voglio vincere il più possibile. Il presidente Moratti è l’anima dell’Inter. E’ un grande presidente che ha investito denaro e passione per questa società. Non considero l’Inter un punto di arrivo ma uno stimolo per migliorare ancora”. Con Chivu l'Inter arriva ad avere giocatori di dodici nazionalità diverse, confermandosi Internazionale di nome e di fatto. Ed è lo stesso presidente Moratti a dire: “A calcio e a San Siro gioca chi è bravo. E poi Milano è aperta a tutti quelli che hanno voglia di fare bene”. Poi come non ricordare dell’avventura in nerazzurro di Chivu l’episodio di Verona? Un dramma sportivo che per la gravità poteva diventare privato. Scriveva il Corriere della Sera del 7 gennaio 2010, “quando, a tarda sera, appena risvegliato dall' intervento, Cristian Chivu ha la forza per interessarsi delle reti dei compagni si ha la certezza che non c'è più nulla da temere.
Qualche ora prima, vedendolo sdraiato in mezzo al campo sotto una coperta marrone, gli occhi sbarrati e lo sguardo perso, la tempia che si gonfia e fa paura, non è possibile scommetterci. Cristian Chivu è immobile, non perde mai conoscenza ma è subito chiaro a tutti che quella terribile zuccata di qualche attimo prima - la sua tempia destra che, in uno scontro di gioco, incoccia con violenza contro la fronte dell' attaccante del Chievo Sergio Pellissier dopo un minuto del secondo tempo - può rivelarsi pericolosa, molto pericolosa. C' è una frattura, l' osso si è piegato all' interno...” In quel giorno della Befana per Chivu e per tutta la famiglia nerazzurra non c’è nulla da festeggiare. Chivu ha rischiato la vita. Continuava la cronaca: “…l' ambulanza porta subito Chivu all' ospedale Borgo Trento di Verona. Pare che il difensore nerazzurro abbia avvertito una diminuzione della sensibilità della mano sinistra, e si teme che l'osso fratturato abbia lesionato il cervello… “La parete cerebrale appare intatta”, rassicureranno poi i medici. Ma prima di arrivare a questa certezza c' è tempo per molta preoccupazione: è subito chiaro, infatti, che Chivu deve essere operato. I giocatori dell' Inter corrono in ospedale a dare sostegno al compagno… la moglie Adelina parte da Milano. L' operazione, di oltre un' ora, serve per riassorbire un ematoma, che il professor Sergio Turazzi definisce “di dimensioni contenute”. L'osso parietale si è fratturato “con un affossamento della teca cranica verso l' interno” che ha provocato il versamento di sangue. L' intervento riesce, ma il difensore passa la notte in terapia intensiva”.
L'operazione si è resa necessaria per la presenza dell' ematoma ed è consistita nel risollevare i frammenti ossei sprofondati verso il cervello, nello svuotare lo stesso ematoma e porre le condizioni affinché non si riformi”, spiegano i medici. Ora bisogna solo aspettare che la frattura si ricomponga. Difficile dire quanto ci vorrà… “Conoscendo Cristian, che ha giocato anche con una spalla lussata, vorrà rientrare tra una settimana”, dice la moglie. E in quel suo sorriso c’è ancora nascosta la grande paura. Potrebbe, però, restargli qualche timore al momento di colpire di testa. Il suo nuovo compagno di reparto sarà un caschetto protettivo. Il giorno della sua vera rinascita è il 24 aprile 2010. Perché Chivu torna al gol (il suo primo in nerazzurro, a quattro anni dalla sua ultima marcatura in maglia Roma) in Inter-Atalanta 3-1. La gioia è tanta e in quel gesto di togliersi il caschetto per festeggiare c’è tutto il suo entusiasmo per essere tornato un calciatore. “Ci ho provato ed è andata bene, finalmente! – dirà in sala stampa – è un gol importante per la squadra e per me, dopo un periodo non facile. Al momento del gol ho pensato a mia moglie, perché è la persona più importante della mia vita. E’ dedicato a lei. Adesso andiamo avanti così e da domani si pensa al Barcellona: dobbiamo dare il massimo, è un momento storico per noi”.
Sì, il momento era storico, l’Inter stava scalando gli ultimi metri di una montagna chiamata Triplete. Il mese dopo sarebbero entrati in bacheca la Coppa Italia, lo Scudetto e la Champions League. E Chivu c’era. In campo. Alla faccia di tutti i soprannomi sulla fragilità del suo fisico. “Nella vita sognare fa male. Non guardo mai al passato ma al presente e soprattutto al futuro”, diceva un giorno. Sarà ancora a tinte nerazzurre?
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