Marco Travaglio è tornato ad attaccare la 'sua' Juventus dopo il match con la Roma. Oggi anche il Corriere dello Sport ha sentito il parere dello sferzante giornalista del Fatto Quotidiano.

Ripartiamo da Juve-Roma o vuole commentare Moggi? 
"Cominciamo da Moggi. Per ricordare che sono stato il primo a pubblicare le intercettazioni di Calciopoli su Repubblica, con cui collaboravo allora, e che sono felice di aver contribuito alla sua dipartita dal calcio. Per spiegargli che non può permettersi di definirmi uno pseudo juventino, visto che io tifavo Juve nel 1972, quando lui faceva l’osservatore - ed era un buonissimo osservatore, bisogna dirlo - e poi lavorava con la Roma, con la Lazio, con il Napoli, si arrabattava senza riuscirci, per lavorare all’Inter e al Milan. Oppure finiva invischiato nelle storie di prostituzione legate al Torino di Borsano". 

Dove comincia il tifo di Marco Travaglio per la Juve? 
"Il 30 dicembre 1972 la prima partita, a 8 anni: Juve-Atalanta 0-0, Vycpalek in panchina. Poi sono stato abbonato vent’anni. Ho smesso quando è arrivato Moggi, giusto un paio di anni ancora dietro per lavoro, poi basta. Però ricordo che Boniperti non lo faceva entrare in sede e per l’Avvocato era lo stalliere". 

Ma Juve-Roma, domenica, dove l’ha vista? 
"In un bar di Sassari con il mio direttore Padellaro: eravamo lì per una conferenza. Ci siamo resi conto dopo di essere in un club di tifosi juventini. Tutti con gli occhi foderati". 

Cosa non le è piaciuto? 
"Non mi piace il fatto che si sia perso lo stile Juve per tornare a qualcosa di molto simile allo stile Moggi: tre favori così, tutti in fila, riportano per forza a quell’epoca lì. E a me non piace. Mi piace lo scudetto dell’anno scorso, strameritato. Cobolli Gigli e Blanc avevano fatto un gran lavoro per far dimenticare la Juve di Moggi: hanno accettato una sentenza che per essere adeguata, per la verità, avrebbe dovuto portare in B Milan, Lazio e Fiorentina, con la Juve in C. Alla fine si scelse il male minore. Domenica siamo arretrati di vent’anni". 

Ma lei vede un sistema dietro quegli errori? 
"No, mi è parso servilismo. La Fiat non esprime il potere di una volta e così la Juve. Prova ne sia che Juve e Roma si sono persino alleate contro l’espressione del vertice della Federcalcio che definirei indecente. Quando la Fiat era potere vero, Boniperti andava via a fine primo tempo dagli stadi e Agnelli non commentava gli arbitri: c’era la consapevolezza di uno sorta di soggezione esterna, c’era... pudore. Ecco, domenica non si sarebbe dovuto commentare nel modo in cui si è fatto. Ad Andrea Agnelli e alla sua signora consiglierei di andare a vedere immagini dell’avvocato e di Umberto per capire cosa fosse lo stile Agnelli che non c’è più". 

Un tweet dietro l’altro a far polemica. E le parole di Totti, con la pioggia di critiche poi, cosa fanno pensare? 
"Certi tweet dei calciatori non si commentano: non ci sono più teste come Falcao e Platini. E Totti ha le spalle larghe. Ha solo detto quello che pensava dopo aver giocato una partita che non meritava di perdere in quel modo". 

 

Sezione: In Primo Piano / Data: Gio 09 ottobre 2014 alle 11:18 / Fonte: Corriere dello Sport
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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