I giorni successivi dovrebbero essere quelli delle riflessioni a mente fredda, magari del rimorso per qualche commento troppo colorito. Eppure a tratti prevale ancora una velata incredulità per quanto accaduto sabato sera all'Allianz Arena. Cinque a zero. Cinque. A. Zero. Bisogna ripeterlo più volte, scandendo bene le parole, per rendersene conto. La più pesante sconfitta della storia di una finale non solo di Champions League o Coppa Campioni, ma di tutte le altre competizioni ufficiali. Le onte maggiori si erano fermate a quattro gol di differenza.
L'Inter ha scelto di entrare nella storia dalla porta sbagliata. E oggi non c'è ancora una spiegazione per quanto accaduto, perché nessuno dei nerazzurri intervistati nel dopo partita ha provato a spiegarlo. PSG più forte, l'ha voluta vincere di più, arrivava prima sui palloni, costruito per vincere eccetera eccetera. Ma questo non spiega un 5-0. Perché i francesi hanno dimostrato sul campo le intenzioni anticipate a parole e hanno vinto con pienissimo merito.
Ma un contributo significativo l'ha offerto l'Inter, in barba alla consapevolezza, alla maggiore esperienza, al cammino più difficile, tutto a confronto con il 2023. A Istanbul i nerazzurri quanto meno ci hanno provato, avrebbero anche meritato di più e lo ammettono tutti. Sabato no, sul rettangolo di gioco non c'è stato nulla di ciò che avrebbe dovuto esserci. Squadra schiantata tatticamente, tecnicamente e fisicamente dall'inizio alla fine. Senza neanche un barlume di lucidità per provare quanto meno a limitare i danni evidenti.
Eppure la parola 'orgoglio' è una delle più gettonate tra quelle pronunciate da chi si è presentato davanti ai microfoni. Non certo per la finale, ma per il percorso. Che è lì e rimane, può essere macchiato dall'infausto epilogo ma non cancellato. Per giocare una finale di Champions bisogna arrivarci e l'Inter lo ha fatto, approfittando anche di eventi ed episodi che le hanno teso la mano contro avversari sulla carta, e non solo, superiori. Legittimando poi con prestazioni di altissimo profilo ogni passo avanti nella competizione. Perché se i nerazzurri erano in campo all'Allianz Arena è perché ci sono arrivati con le proprie forze, a costo di sacrificare altri obiettivi. E questo non si discute.
Cercare il riscatto di Istanbul era un pensiero troppo forte nella testa di allenatore e giocatori per mollare la presa. Per questo rimane tutt'ora inspiegabile il crollo contro il PSG, che è sicuramente superiore e non ha regalato eventi e/o episodi favorevoli, ma il divario tra le due squadre non è di 5 reti. Magari prossimamente qualcuno dei protagonisti andrà più a fondo e proverà ad analizzare i perché di questa disfatta storica. E chissà, a chiedere scusa almeno ai tifosi che hanno assistito a uno scempio, cosa che finora solo Denzel Dumfries ha avuto il coraggio di fare in modo chiaro e senza giri di parole. Perché la sconfitta fa parte dello sport e va accettata. Ma c'è modo e modo di perdere e i nerazzurri hanno optato per quello più inopportuno.
Adesso il mondo Inter ruota intorno al futuro di Simone Inzaghi. Crescono, secondo gli esperti, le possibilità che possa salutare e andare all'Al-Hilal. Tutto si deciderà dopo il confronto di domani con dirigenza e proprietà, per capire se gli obiettivi sono gli stessi e ci sia concordanza sulle modalità per raggiungerli. Nell'immediato post-gara Beppe Marotta ha fatto il pompiere, gettando acqua sul fuoco nel timore che divampasse un incendio incontrollato sul destino dell'allenatore, che per quanto lo riguarda deve rimanere e rinnovare. A dispetto anche di chi sostiene, e sono in tanti, che il crollo in finale rappresenti i titoli di coda sul ciclo di Inzaghi, perché sarebbe complicato risollevarsi mentalmente.
La tentazione di resettare tutto è piuttosto forte all'esterno della dirigenza, in particolare tra i tifosi che storicamente non fanno prigionieri dopo una delusione impattante. Ma come sempre in medio stat virtus. La permanenza di un allenatore che al netto di diversi errori ha permesso all'Inter di tornare al tavolo delle grandi d'Europa senza potersi permettere di pagare il conto anche alla romana dovrebbe essere il punto di ripartenza. Perché è lui che plasmando questo gruppo ha permesso di sognare in grande pur non avendo i mezzi economici delle altre. Il lavoro sul campo e il coinvolgimento emotivo dei calciatori, che hanno sposato ciecamente la causa, ha sopperito all'assenza degli investimenti necessari per mantenere questo status nobiliare. Non è un caso che Marotta se lo voglia tenere stretto.
Poi c'è la rosa. Nessuna rivoluzione, non sarebbe possibile né consigliabile. Ma forse lo choc di Monaco di Baviera deve dare il coraggio di salutare alcuni dei veterani troppo avanti con l'età che anche solo per questioni fisiologiche non potranno più garantire un apporto costante in una nuova stagione che si preannuncia altrettanto impegnativa. Rinfrescare la rosa e abbassare l'età media è un processo già avviato dalla dirigenza, ma forse è il caso di spingere più del previsto su questo tasto, anche con decisioni dolorose.
Da ieri e fino al 10 giugno ci sarà la prima e innovativa finestra di mercato dovuta al Mondiale per Club e l'Inter annuncerà l'arrivo di Petar Sucic e verosimilmente Luis Henrique. Ma come ha sottolineato Inzaghi, ne arriveranno altri. E ci mancherebbe. Se andranno via dei leader di questo ciclo, andranno sostituiti degnamente. Questo è uno dei punti su cui l'allenatore piacentino non transigerà durante l'incontro con la società. E se il suo ciclo continuerà, dovrà essere alle sue condizioni. Altrimenti meglio lasciarlo libero di andare altrove, perché dopo 4 anni di accettazione della ragion di Stato non gli si può chiedere di continuare con la prestidigitazione.
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