Cresciuto nella Primavera nell’Inter, tornato in nerazzurro nell’estate post Triplete. E siccome "è impossibile dire di no alla Beneamata”, Jonathan Biabiany ha vestito per un nuovo terzo periodo della sua carriera la casacca del nerazzurra. In esclusiva per FcInterNews, senza peli sulla lingua e con la sincerità che lo distingue, il francese ripercorre tutte le tappe del suo percorso milanese.
Partiamo dal presente. Come va al San Fernando Club Deportivo, nella Segunda spagnola?
“Sono felice di essere di essere qui. Va benissimo. Domenica abbiamo vinto 3-1 e ho realizzato il mio primo gol. Si tratta di una scelta di vita, volevo stare vicino alla mia famiglia. Ma devo pure dire che questa squadra ha un grande progetto. Sono due anni che con i miei cari vivevamo nel Paese Iberico e io facevo avanti e indietro. Poi col problema del Covid tutto si era complicato. Era difficile tornare a casa, sono pure rimasto bloccato a Trapani a causa dei voli. Quindi per evitare complicazioni, come anticipato, ho messo davanti la famiglia e ho scelto il San Fernando”.
Gioca sempre da attaccante?
“In realtà ho disputato le prime due partite da terzino. Il titolare si era infortunato e il mister quindi mi ha chiesto la disponibilità per giocare in questo ruolo. Una volta che lui è rientrato, sono tornato davanti. Penso che non cambierà più, dato che ho pure segnato…”.
Colgo la palla al balzo. Spesso si diceva che lei sarebbe stato un terzino perfetto per l’Inter, date le sue caratteristiche, ma nessuno l’ha schierata in tale posizione.
“Le dico questo. I miei compagni all’Inter mi imploravano di giocare da terzino. Secondo loro era il ruolo in cui avrei potuto rendere di più. Con Mancini in realtà ho disputato qualche allenamento e qualche spezzone lì. E io resto comunque felice di essere stato schierato nel ruolo di punta”.
Riavvolgiamo totalmente il nastro. Cosa ricordo del suo arrivo, da giovanissimo, all’Inter?
“Stavo vivendo un sogno, quello agognato da ogni bambino. Mi stavo trasferendo nella squadra più importante del mondo. Non ci avevo creduto sino a quando non indossai la casacca nerazzurra e scesi in campo per la prima volta con quella maglia”.
Oltre a Balotelli, in quella Primavera nerazzurra c’erano tanti ragazzi che poi hanno fatto strada.
“Sì. Bonucci, Santon, Bolzoni, Obi. Qualcuno poi ha avuto una carriera brillante, magari anche in modo inaspettato. Altri invece che promettevano tantissimo, oggi non giocavano neanche più a calcio”.
A chi si riferisce?
“Bonucci non ha avuto un inizio di carriera sfolgorante. Era un buon calciatore, ma non giocava in B. Faceva tanta panchina, poi è esploso ed è diventato il difensore che tutti conosciamo. Mentre Goran Slavkovski, che esordì giovanissimo con l’Inter, è diventato un personal trainer. O Ibrahim Maaroufi che aveva grandi doti e non so dove sia finito”.
Il giovane Jonathan cosa ricorda degli allenamenti con la prima squadra?
“Di quell’Inter non c’è più nessuno, dato che pure il Capitano ha appeso le scarpe al chiodo. Ricordo però tantissimi campioni. Pupi, Eto’, Veron, Recoba, Figo. Sarebbe impossibile nominarli tutti, una rosa pazzesca”.
Lei poi ritorna all’Inter nell’era post Triplete, segnando nella finalissima del Mondiale per Club contro il Mazembe.
“Quel gol resterà per sempre il più importante della mia carriera. Fu un’emozione incredibile. Arrivavo da un infortunio. Non sarei dovuto nemmeno partire. E invece segnai nell’ultimo atto della Coppa del Mondo per Club. Spettacolare”.
Cosa andò storto con Benitez all’Inter?
“Lui è un grande allenatore. Non legò con i senatori dell’Inter. Diciamo che c’era un po’ di distanza tra di loro. Questo ha bloccato il suo cammino in nerazzurro, ma resta un mister top”.
Trascorre più o meno un altro lustro e torna all’Inter, con Mancini in panchina. Perché diceva sempre di sì alla Beneamata?
“Semplicemente perché loro mi chiamavano e io non riuscivo a dire di no. Anzi, rispondevo subito con un sì entusiasta. Poi io ringrazierò sempre Mancini. Mi ha fatto esordire in nerazzurro e mi ha voluto poi anni dopo ancora con lui a Milano”.
Pensa che l’Inter di Mancini avrebbe potuto fare di più?
“Direi di sì. Eravamo partiti bene. Avevamo staccato la Juve ed eravamo primi in classifica. Peccato che in due mesi, tra gennaio e febbraio, abbiamo buttato via tutto”.
Con De Boer invece il rapporto non è mai nato. Tanto che sia lei sia Erkin lo avete definito come il peggior allenatore della storia dell’Inter.
“Io non giudico la sua carriera, ma quanto fatto in nerazzurro. Sarà pure anche un grande mister, ma a Milano, a livello di persona, non ha legato con nessuno dello spogliatoio. Nemmeno con chi giocava titolare aveva un buon rapporto. Quindi è chiaro che per quanto mi riguarda sia il peggiore allenatore che ho avuto all’Inter. Pure con Pioli non giocavo tanto, ma lui è una persona meravigliosa…”.
Ma di particolare cosa fece De Boer per inimicarsi tutti voi?
“Il termine più giusto è arrogante. Credeva di sapere tutto lui. E così non è entrato in simpatia con nessuno”.
Quale è stata la gioia più grande all’Inter?
“Il gol col Mazembe. E quando, dopo un anno fuori per infortunio, sono tornato e ho segnato subito contro il Frosinone”.
E la delusione più grande?
“L’anno con de Boer (ride, ndr)”.
Chi è stato secondo lei il compagno più forte con cui ha giocato?
“Le dico Zanetti per l’uomo che è. E per lo stesso motivo aggiungo pure Eto’o, una persona per bene”.
Chi è stato il compagno di reparto più forte invece?
“Purtroppo non ho giocato un anno intero con Adriano o con Ibra. Ma che giocatori Milito e per l’appunto Eto’o”.
Autore: Simone Togna / Twitter: @SimoneTogna
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