Cuore, gambe e testa. Soprattutto testa… Quella che ci mette Edin Dzeko, ancora una volta sul filo dello scadere. È il cigno di Sarajevo a tendere la mano ai compagni, salvando l’intera Inter dall’annegamento dalle acque veneziane, trappole lagunari che per lunghi tratti hanno stretto in una morsa snervante la squadra di Inzaghi, rea di smalto e freschezza venuti meno nella gara meno difficile ma solo sulla carta. Carta canta, ma non questa volta e a cantare per primi sono proprio i veneti che, approfittando di una dormita della difesa nerazzurra, poco lucida nel fiutare il pericolo, trovano uno stacco di testa di Ampadu sul quale non arriva Samir Handanovic, svestitosi dei panni da supereroe indossati a Bergamo e tornato umano. Da Batman a man battuto il passo è stato neanche troppo breve, considerati i centoventi minuti ad alto ritmo dello scorso mercoledì in Coppa Italia che hanno visibilmente ridotto le energie del gruppo dei campioni d'Italia per intero che, come contro l'Empoli, ha fatto fatica a ritrovare le redini di un risultato, volto a favore soltanto sul finale.

Gira tutto bene, direbbe qualcuno, probabilmente a ragione perché la squadra di Simone Inzaghi gira bene anche quando gioca male. Settanta percento di possesso palla, ventiquattro tiri di cui il 50% esatto in porta, centosessanta-nove volte all'attacco di cui centouno quelli considerati 'pericolosi', dieci le parate dell'estremo difensore avversario a fronte dei tre tiri in porta degli arancio-nero-verde, arrivati dopo le sessantasei volte in cui i veneti sono andati all'attacco. Una 'bruttezza' ingiustificata dai numeri, ma legittimata da una fluidità di gioco che ha lasciato spazio a qualche sprazzo d'ansia, questa quasi ormai dimenticata dai cuori nerazzurri, tornati al cardiopalma nelle sole ultime due partite. A stanare le preoccupazioni è il Don Chichiotte della Pinetina, l'uomo dai mille sacrifici, mai sereno ma soprattutto mai domo. E che fortuna... Quel 23 in mezzo al campo. Ma la vera fortuna è che Nicolò Barella è ovunque, non solo in mezzo al campo e a cinque minuti dal duplice fischio di Marchetti, il centrocampista sardo si trova nel posto giusto al momento giusto: tiro dal limite dell'area di Ivan Perisic, di forza su un gran pallone servito da Darmian dalla parte opposta, che trova l'attenta e istintiva ribattuta di Lezzerini, sfortunato a carambolare su una zolla di area di rigore sul quale si fionda l'ex cagliaritano che non lascia scampo all'ormai battuto classe '95.

Onore al 23 che l'unico appuntamento bucato finora è la gara di Madrid, scivolone di cui si porta ancora il peso. Ma l'onore è tutto dei tifosi, a vederlo indossare quella maglia con lo spirito da interista nel dna: sudore, fatica, devozione a cui il grande 23 della storia nerazzurra rende omaggio a fine gara e con il quale lo stesso Nicolò ironizza. Ironia alla quale però l'Inter non lascia spazio e alla goliardia pullulata sui social a una manciata di minuti dal triplice fischio che sembrava incombere come un macigno di piombo sulla classifica, la capolista risponde come meglio sa fare: rialza la testa senza lasciarsi sopraffare dall'ansia del ticchettio di cronometro che scorre e affonda il colpo proprio quando meno la squadra di Zanetti se l'aspetta. Se Barella colpisce, il bosniaco affonda. Alza la testa, schiaccia e affonda il Venezia, astuto e scaltro ad arginare la furia degli interisti, fino a quel momento finiti però a schiantarsi contro le infrastrutture dei lagunari degne del MOSE.

A straripare gli argini è Edin Dzeko che spezza un digiuno che durava dal 4 dicembre contro la Roma. Tabù sfatato e anche il 9 nerazzurro ha finalmente ritrovato una porta che col Venezia sembrava stregata più del solito, ma nel pomeriggio in cui i diretti inseguitori stavano già pregustando un potenziale avvicinamento il Cigno di Sarajevo è tornato spiegare le ali volando in alto... Più di tutti. Voli pindarici e voli pittoreschi. Decisamente più il secondo quello di Edin, che di pittoresco ci mette pure l'esultanza, rabbiosa e straboccante come la voglia di segnare che aveva già palesato per tutto il corso della gara ma che smorza ai microfoni: "Esultanza rabbiosa? No, quando fai gol all’ultimo minuto devi esultare così, come se fosse l’ultimo. Sicuramente mancavano i miei gol però quando la squadra vince è sempre importante, poi magari mi ero risparmiato per oggi e non rimpiango niente. È bellissimo segnare all’ultimo".

Segnare all'ultimo è bellissimo, è vero, e pare che di cotanta bellezza i nerazzurri ne abbiano fatto abitudine, un tantino inflazionata oseremmo dire, quasi sfiancati di una 'pazza Inter' alla quale non eravamo più abituati e proprio per ciò colpevole di autorizzare il via libera ai giudizi negativi, finalmente legittimati a tornare di moda ad onta dei sopraccitati numeri, questi irrilevanti dinnanzi all'eccelse analisi social. E in fondo, perdonate la citazione, talvolta è proprio "più bello così". Ma dall'alto del tetto d'Italia come quello d'Europa dell'Eurovision con vista su Sanremo, musica dei Maneskin, testo di Edin: Zitti e buoni, sono Dzeko di testa. 
Sezione: Editoriale / Data: Dom 23 gennaio 2022 alle 00:00
Autore: Egle Patanè
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