Dove eravamo rimasti? L'Inter vicina agli ottavi di Champions, poi retrocessa in Europa League e magari questa volta, nel ricordo di Ronaldo il fenomeno, di Zanetti e di quella notte di Parigi del '98, qualcuno pensava che i nerazzurri potessero avere davvero l'obiettivo di arrivare fino in fondo perché puntare a una coppa, oltretutto europea, dovrebbe essere un sogno che si ha fin da bambini.
Eravamo rimasti anche a un'Inter saldamente terza in campionato tanto che qualcuno azzardava l'idea di andare a tentare il sorpasso sul Napoli, secondo, specie dopo quanto accaduto, sul campo, a Santo Stefano. Eravamo rimasti a un'Inter che dopo le uscite premature degli ultimi due anni, si diceva, o si sperava, o ci si illudeva, potesse giocare la Coppa Italia con concentrazione vera sempre perché puntare a una coppa dovrebbe essere un sogno che si ha fin da bambini e anche perché, eliminate a sorpresa Juve, Roma, e Napoli, non era un azzardo dire che stavolta il trofeo nazionale fosse alla portata.
A tutte quelle cose eravamo rimasti. Il risveglio, dopo qualche mese, racconta altro: racconta di un'Inter che la qualificazione agli ottavi di Champions l'ha buttata via (Barcellona e Tottenham sono ai quarti ora, vero, ma contro di loro i nerazzurri la loro parte l'avevano ampiamente fatta, è contro il Psv che si sono giocati tutto); racconta di un'Inter che in campionato è stata sorpassata dal Milan e ha la Roma, quinta, a tre punti.
Racconta di un'Inter che la Coppa Italia l'ha salutata ai quarti, in casa propria, contro la Lazio e che l'Europa League l'ha giocata fino agli ottavi uscendo per mano di un buonissimo Eintracht, ci mancherebbe, che però a San Siro ha fatto di tutto per non chiudere la partita e qualche limite di cinismo e concretezza l'ha dimostrato. Se poi, dopo aver provato a giocartela a viso aperto contro Barcellona e Tottenham, si ritiene legittimo essere battuti dal Francoforte, allora i passi indietro, nel giro di pochi mesi, si raccontano da soli.
La verità è che il secondo posto in Serie A non è mai stato alla portata dell'Inter ma la verità è anche che nelle Coppe il percorso poteva essere diverso. E chissà quanti umori avrebbe cambiato. Chissà se il fastidio al ginocchio di Icardi sarebbe stato così insormontabile di fronte non a un sedicesimo di Europa League da giocare a Vienna, ma di fronte a un ottavo di Champions contro il Borussia Dortmund o chi per lui. Con i se non si va da nessuna parte, è vero.
E allora ripartiamo dalle verità: un'altra verità è che questi giocatori ogni volta che sono chiamati a dare qualcosa in più , dal punto di vista tecnico e mentale, puntualmente non lo fanno. La colpa è loro, di chi li ha scelti, di chi li allena, di chi li tiene. Contro il Francoforte giocavano praticamente in trasferta, erano al limite delle forze, non c'erano soluzioni e cambi eppure la sensazione è che nessuno abbia lasciato sul campo fino alla sua ultima goccia di sudore, che nessuno abbia dimostrato la voglia di morire, calcisticamente si intende, su quel prato pur di provare a fare un tiro in porta, di chiamare a sé gli dei del calcio, di tentare il colpo di fortuna, la giocata che potesse riaprire le speranze.
E se questi giocatori non hanno saputo trovare motivazioni fin qui, di fronte alle competizioni descritte, sorge il dubbio che ne sappiano tirare fuori da qui alla fine visto che l'obiettivo massimo è la difesa del quarto posto o al massimo, visto che il derby spesso rovescia pronostici e teorici favoriti, la riconquista del terzo. Non è da sottovalutare il rischio tracollo soprattutto se ci si affida a chi aveva già la valigia in mano o comunque le farà e le rifarà a giugno.
Qualunque cosa succeda nel derby e oltre, sarà difficile dare un giudizio positivo alla stagione. E quando a marzo inizi a pensare, e soprattutto a sperare, in quello che succederà in estate e ai tanti cambiamenti che potrebbero esserci, questo è già il più grande fallimento perché vuol dire che, nel momento migliore della stagione, quando i più forti giocano le partite decisive e sognano grandi imprese, tu non hai più nulla da inseguire.
In tutto ciò Mauro Icardi è stato, non so quanto consapevolmente fin dall'inizio, molto furbo: perché per il suo capriccio personale si è letteralmente sfilato dalle scene nel momento critico della stagione dove il confine tra gloria e fallimento è sottilissimo. Provando così a diventare un rimpianto. Ma sia chiaro: con lui in campo la stagione dell'Inter non avrebbe preso una piega diversa. E sia anche chiaro che rimpiangere la sua presenza in campo è l'ultima cosa che chi dice di amare il nero e l'azzurro dovrebbe fare.
Icardi comodo sul divano di casa mentre il classe 2002 Sebastiano Esposito guidava, da centravanti, gli ultimi disperati, e neanche tanto convinti, assalti al Francoforte, dovrebbe, quanto meno, fare arrossire di vergogna l'ex capitano. E non perché quel ragazzino, come Davide Merola, guadagnerà in un'intera stagione quello che lui prende in una settimana sul lettino del fisioterapista. Ma perché vedere quei ragazzi pieni di belle speranze correre con una voglia matta per il prato di San Siro con gli occhi emozionati di chi realizza un sogno che ha fin da bambino, fa capire quale sia l'essenza vera del calcio.
Per questo è lecito sentire voglia di Primavera: Icardi non si è reso disponibile nella settimana più importante e delicata, quella che rischia persino di portare alla disfatta. Bene, grazie: tanto vale non averlo nemmeno fino alla fine della stagione. Tanto vale vedere scorrazzare per San Siro giovani di belle speranze per i quali quella maglia e quel campo rappresentano l'ambizione e il senso di tutto. Col rischio di risultare inadeguati. Ma tanto l'inadeguatezza l'hanno ampiamente dimostrata quelli più grandi, nelle giocate e nei comportamenti. E una volta che arriva la Primavera, anche per i risvegli poi c'è tempo.
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