Era difficile immaginare che Inter sarebbe scesa in campo contro il Torino.
Dopo venti minuti di gioco c'era il sospetto, dopo trenta la certezza. Dopo un'ora di avvilimento la squadra, ormai sott'acqua, ha ribaltato il tavolo giocando a modo suo.
In questi giorni era balzato all'occhio il rendimento notevole di tutti i giocatori impegnati con le rispettive Nazionali.
Gli azzurri Barella, Bastoni e D’Ambrosio hanno giocato bene, Lukaku ha trascinato il Belgio contro la Danimarca di Eriksen, il quale è stato il migliore in campo dei suoi, ispirato, dinamico e incisivo.
Vidal ha disputato delle grandi partite col Cile è ha fatto un gol formidabile, così come Lautaro Martinez, il quale ha realizzato un gol importante dopo una prestazione convincente. Bisognava perciò capire se dipendesse da una forma fisica finalmente decollata o tutti i giocatori dell'Inter, ad eccezione di Barella, fossero imprigionati da una gabbia tattica che in nerazzurro li depotenziata.
La risposta sembra essere la seconda e tutti abbiamo avuto la sensazione che sotto di due gol, la squadra abbia allentato le stringhe, si sia mossa istericamente ma correndo e non dando più punti di riferimento ai granata.
Saltato il banco la partita dell'Inter si è stappata e alla fine i valori sono emersi, con il Toro alla fine stremato.
È una lettura comune, quasi plateale nella sua manifestazione, che mette a nudo i limiti dell'attuale gioco di Conte, infatti il tecnico a fine partita ha respinto la tesi definendola inaccettabile: “Non accetto che ci venga detta una cosa del genere. Altrimenti facciamo chiacchiere da bar. Io non sono un allenatore così e quello che ho vinto l'ho vinto non andando solo di fisico e di furore”.
Ha certamente ragione nell’ultima affermazione, eppure non si chiede che interesse avrebbero stampa e tifosi nel rinfacciargli un gioco tanto asfittico e tanto intuibile dagli avversari. La sua reazione orgogliosa ci può stare ma se a critiche pertinenti e considerazioni argomentate risponde che sono false e manda in loop il disco dei contrasti persi e di una squadra che gioca troppo lentamente, senza mai entrare nel dettaglio, permette che si divaghi sul suo modo di lavorare con le tesi più disparate.
La partita è persino indefinibile nel modo in cui i giocatori l’hanno interpretata, perché se è vero che Conte ha chiesto di affrontarla con furore agonistico e cattiveria, c’è da chiedersi perché la squadra abbia recepito l’esatto opposto.
È la prima volta che mi capita di commentare una rimonta dell’Inter, praticamente identica a quella del derby di febbraio nell’evoluzione del punteggio, in un clima di fastidio così evidente verso l’allenatore e la partita.
I motivi riguardano un tecnico che ha mostrato fin troppe sfaccettature e sta avendo molto più credito, soldi e potenziale su cui lavorare di altri allenatori che lo hanno preceduto, i quali hanno avuto un leggero margine di tolleranza in più perché erano Inter con meno pretese.
Non ha la necessità di farsi amare per la sua simpatia ma solo da quello che le sue idee immesse nel modo in cui la squadra gioca, riesce ad ottenere.
Ha costruito una squadra che la scorsa stagione ha ottenuto un buon piazzamento e una finale persa, ma considerando che la campagna acquisti è stata sulle sue convinzioni, con la nuova stagione ci si aspettava una squadra molto più veloce nel recepire le sue idee.
Stiamo vedendo invece un’involuzione nel gioco e nella testa di giocatori, con Lukaku che ha anticipato l’allenatore nel dire che l’Inter non è ancora una grande squadra.
Conte intanto ha bruciato Eriksen, lo ha relegato in panchina e messo in vendita, in quanto se da tre mesi si parla del danese vicino all'addio è perché dalla società trapela questo, non perché è lui a volersene andare.
Noi vogliamo bene all’Inter e quindi la società ha sempre ragione ma è stato impossibile non pensare a una questione personale quando il tecnico in conferenza stampa di presentazione ha detto che Eriksen gioca anche più di altri.
Per la cronaca il danese è il 18esimo giocatore più utilizzato. Il diciottesimo. Solo più di Ranocchia, Sensi, Nainggolan e Pinamonti. Qui si entra in una questione più personale che tecnica, del tutto inadeguata.
Se fosse un diciottenne di belle speranze si potrebbe comprendere ma gestire in questo modo un giocatore importante e svenderlo tra un mese, mandandolo via dopo 10 mesi, non è qualcosa di cui andar fieri e Marotta, come Zhang non credo siano contenti.
I fatti dicono che vincere non è l'unica cosa che conta e che l'allenatore deve cercare le risposte anche da sé stesso, non solo dando degli ubriaconi incompetenti a chi gli fa domande sul gioco. Ci si aspettava di più, ora risponda con i fatti, altrimenti come ama ripetere spesso, sono solo chiacchiere.
Amala.
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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