C'è qualcosa di pittoresco e di sentimentalmente commovente nel romanzo nerazzurro mandato in play due giorni fa al Meazza dall'Inter di Simone Inzaghi che nella notte alla vigilia del 117esimo anniversario dalla nascita dell'FC Internazionale Milano torna a sparare una dose di adrenalina ai milioni di cuori nerazzurri in trepidante, e quasi ormai disillusa, attesa di un momento come questo. Dall'ormai lontano 17 agosto 2024, data del fischio d'inizio di questa stagione strana, atipica, nuova, ambigua e tutt'ora dai tratti misteriosi, di sicuro incerti, i tifosi del Biscione attendevano un vero grande guizzo alla Inter, uno di quei partitoni tipici della stagione scorsa insomma: una sorta di Inter-Verona, un Milan-Inter, un Udinese-Inter, un Napoli-Inter, un Benfica-Inter e via dicendo dell'anno scorso - per intenderci -. Vittorie con le big in scioltezza, gare con successi dilaganti, prove di forza e soprattutto quest'ultime, caratterizzate anche da grandi rimonte costruite con solidità, fame, grinta, cattiveria e decisività. Ingredienti spesso mancati quest'anno nella stagione passata alla storia come quella in cui non hai mai battuto una tra Napoli, Juventus e Milan. Segnale piuttosto distintivo di una mancanza di inspiegabile cinismo che non è comprensibile tenendo conto dei minimi cambiamenti ai quali è stata sottoposta la famelica e indistruttibile squadra che lo scorso anno ha vinto il Tricolore il 22 di aprile con cinque giornate d'anticipo.
Una compagine che aveva perso due volte in Serie A, una in Champions e una in Coppa Italia, per un totale di 4 ko su 49 partite giocate e alla quale sono stati sottratti solamente Emil Audero, Alexis Sanchez, Stefano Sensi e Davy Klaassen che insieme hanno totalizzato 2090 minuti in campo e 4 gol, tutti e quattro segnati dal Niño Maravilla, che da solo ha registrato 1110 minuti e servito 5 assist e si può dire unico vero 'rimpianto' in termini di numeri rispetto a quest'anno, laddove a perdere rispetto alla scorsa stagione è proprio l'attacco. Quantomeno fino a Inter-Monza. Fino a sabato scorso nessun attaccante al di fuori della ThuLa aveva segnato più del cileno, ma con il gol che ha riaperto la partita in doppio svantaggio contro i brianzoli Arnautovic ha superato Alexis portando definitivamente l'ago della bilancia in suo favore, anche nella 'lotta' alla scala delle gerarchie con i due compagni di reparto Taremi e Correa, anche se l'argentino meriterebbe una parentesi a sé. Numeri alla mano, i conti non tornano, o meglio tornano sì ma a sfavore di Inzaghi e compagni che a rigor di matematica non hanno troppi alibi per spiegare la flessione di rendimento rispetto alla scorsa stagione tenendo conto anche degli innesti rispetto alla passata annata. Ma qualcuno più erudito di chi scrive disse che il cuore conosce ragioni che la ragione non conosce e così anche il calcio. Scienza inesatta che non sempre segue né padroneggia logica e rigore e come tale non tutto permette di lasciar spiegare da matematica, costretta in questo caso a tener conto del calo fisico di alcuni giocatori, degli infortuni, della stanchezza, delle fatiche per l'appunto accumulate e dei sistematici e probabilmente correlati costanti infortuni che complicano, rispetto alla passata stagione nata sotto buone stelle sin dall'inizio, la fluidità del percorso, evidentemente più scosceso di quello precedente.
Al netto di tutto ciò, avendo già passato più e più volte in rassegna gli inevitabili quanto indiscutibili se e ma, già ampiamente digeriti, certe mancanze ormai strutturali e l'inevitabile conseguente trend adottato restano tuttavia incomprensibili quanto inammissibili e la speranza che col tempo una vera scossa arrivasse non è mai davvero mancata nel profondo di ogni vero interista che si dica. Tra qualche disillusione, del pessimismo preventivo e qualche rara, talvolta eroica, fiammella di silenziosa incondizionata fiducia che fanno da contraltare a chi con spocchia tifa senza grosso senso critico, il sincero e clamoroso stupore che la rimonta di sabato sera ha destato tra gli interisti, usciti dal Meazza rinfrancati e anche esaltati, ha senso d'essere. Se lo scorso anno infatti l'Inter sulle sei volte totali stagionali in cui è andata in svantaggio ha perso una sola volta, pareggiato quattro (di cui una da uno svantaggio di 3-0) e vinto una, quest'anno i nerazzurri sono andati in inferiorità di risultato già 8 volte in stagione e il dato che desta ancora più clamore è che tutte le volte in cui i campioni d'Italia quest'anno sono andati in svantaggio non erano mai riusciti a rendersi protagonisti di una rimonta vincente come col Monza. E addirittura 2 volte su otto dopo lo svantaggio è conseguita la sconfitta, mentre le restanti cinque gare in cui a segnare per primo è l'avversario corrispondono anche agli unici pareggi stagionali, eccezion fatta per quello di Manchester, gara finita a reti bianche. Ma non è finita perché se è vero che anche lo scorso anno la prima gara rimontata da uno svantaggio iniziale e poi vinta è arrivata l'8 aprile, persino più tardi rispetto alla svolta contro la squadra di Nesta, altrettanto vero è che tre delle sei situazioni di svantaggio iniziale in cui si è ritrovata la Beneamata l'anno scorso sono avvenute a fine stagione, di cui una - quella contro l'Udinese, sbloccata da Samardzic - a due giornata dalla vittoria matematica dello scudetto e due a scudetto già in tasca e bello che festeggiato. Serie di calcoli che danno agli interisti qualche motivo se non per festeggiare, quantomeno per assaporare quel tocco di fiducia che ha motivo di serpeggiare tra la diffidenza di chi sa che non è una rondine a far primavera.
Nella speranza che il pittoresco e sentimentalmente commovente romanzo nerazzurro presentato due giorni fa al Meazza sia stato non solo una semplice ed estemporanea dose di adrenalina, ma anche una gara spartiacque: una rimonta voluta e ottenuta con solidità, fame, grinta, cattiveria e decisività. Ingredienti da vecchia, cara, pazza Inter. Un ritorno al passato che speriamo possa fungere anche da profonda introspettiva che permette ai campioni d'Italia di ricordare il corredo genetico del quale dispongono e ritrovare se stessa, definitivamente.
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