Mi ero dimenticato quanto faccia male. Il derby non è solo una partita di calcio, ma un appuntamento costante con la gioia o il dolore sportivo di un soggetto che tifi una delle due squadre della città. Succede a Roma, Torino, Genova e dunque, anche a Milano, dove Inter e Milan fanno da arredamento di lusso ad una metropoli di dimensione europea. Solo cinque mesi fa il sesto sigillo consecutivo a tinte nerazzurre che ha regalato scudetto e seconda stella, domenica scorsa si pensava a centrare il record con un settimo successo consecutivo che in sede di pronostico sembrava quasi scontato a favore della Beneamata. E invece è arrivato un doloroso cazzotto nello stomaco che poteva anche essere preventivato per la legge dei grandi numeri, ma fa male lo stesso.
Tornando all'aspetto meramente calcistico, che poi alla fine è quello più importante della storia, nel derby si sono persi punti pesanti, così come a Genova alla prima giornata e come a Monza. Insieme alla tranquilla vittoria interna contro il Lecce, gli unici lampi nerazzurri degni della squadra che ha dominato lo scorso campionato, si sono visti contro l'Atalanta e in Champions in casa del Manchester City. Troppo poco per una squadra come questa Inter e urge correre ai ripari. Il tempo non manca, siamo solo agli inizi della stagione e non sempre si può pensare di vincere un campionato dominando dall'inizio alla fine, ma otto punti in cinque gare sono veramente pochi per un organico come quello a disposizione di Simone Inzaghi. E lo stesso tecnico, con la consueta onestà intelletuale che lo contraddistingue, lo ha sottolineato nel ventre del Meazza al termine del derby.
L'Inter deve tornare a giocare come sa, e non a pensare che una partita sia vinta prima di scendere in campo solo perchè sei reduce da una stagione storica. La squadra deve cercare di riacquistare in poco tempo quella velocità di pensiero che la porta a difendere e attaccare come un blocco unico, senza permettere all'avversario di poter partecipare alla festa. Nel derby, l'Inter che ti morde senza speranza di opporti si è vista solo in occasione del bel pareggio firmato da Federico Dimarco. Per il resto abbiamo assistito a incertezze, errori e lentezza e sappiamo che questa squadra, se abbassa i ritimi e perde di intensità, non ha il giocatore capace di risolvere la pratica con un colpo di genio che con lo schema ha poco a che vedere. L'Inter va in porta manovrando e chiamando in causa tutti i giocatori a disposizione sul rettangolo verde e questo vale anche per la fase difensiva che in queste prime cinque giornate di campionato ha lasciato a desiderare.
È chiaro che gli uomini più rappresentativi, Lautaro Martinez in primis, debbano ritrovare al più presto lo smalto che ha permesso di “ammazzare” lo scorso campionato, altrimenti non si va da nessuna parte. E' anche vero, però, che quanto ammirato contro Atalanta e Manchester City denoti come il canovaccio tecnico-tattico proposto dal mister possa essere ancora valore aggiunto e quindi sinonimo di nuovi successi. L'importante è che torni, feroce, la convinzione nei propri mezzi e la voglia di imporsi. Sempre e comunque. Fortunatamente la classifica è corta, al momento questo campionato può considerarsi democratico, nessuno è scappato come invece avevano fatto i nerazzurri lo scorso anno con quindici punti in cinque giornate, condite da un derby vinto 5-1. Ma basta guardare ad seppur piacevole passato.
Il presente si chiama Udine dove oggi, a partire dalle 15, sarà di scena la Beneamata. Mancherà un leader come Nicolò Barella (altra tegola, qualche infortunio di troppo non registrato la scorsa stagione) e Simone Inzaghi deve dare il meglio di sé nello scegliere la formazione ideale per andarsi a prendere tre punti che sarebbero fondamentali per ritrovare il sorriso. Il tutto alla vigilia di Inter-Stella Rossa di Belgrado, seconda tappa di una Champions League che sta molto a cuore agli inquilini di Via della Liberazione. Gli impegni per tornare protagonisti non mancano. Basta volerlo.
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