L'ultima volta che all'Inter si respirava puzza di petardi bisogna probabilmente riavvolgere il nastro al 2021, o ancora peggio a inizio 2019. Che annata quel 2019! A gennaio iniziava la flessione della squadra di Spalletti che perdeva sempre più terreno mentre Antonio Conte passeggiava in zona Vittorio Emanuele, dove risiedeva allora la sede nerazzurra, e Mauro Icardi veniva spodestato dal suo ruolo di capitano che passava nelle mani di Samir Handanovic. Vecchi capitani a fare da intermediari, porte sbattute, convocazioni rifiutate, falsi infortuni, e voci che si susseguivano... e mentre l'appena arrivato amministratore delegato area sport Beppe Marotta, tentava di riordinare una matassa da riavvolgere con un nuovo faraonico progetto targato Suning, nello spogliatoio di Luciano Spalletti era guerra fredda: est contro ovest, l'argentino vs il team slavo. O almeno così passò alle cronache. Di fatto quell'Inter era una polveriera, balcanica o meno poco importa, ma polveriera. A giocare il ruolo di detonatore fu allora proprio Marotta che arrivò portando con sé come prima missione la bonifica di Appiano Gentile. Far fuori le 'mele marce' fu il dikat congiunto di Marotta e Zhang senior, quest'ultimo ancora nel pieno dei suoi successi e fortemente interessato a investire sul club milanese, che portò all'ingente esborso di denaro per il progetto Conte, al successivo 19esimo scudetto e al successivo ciclo vincente.
Lo switch tra il 19esimo scudo e il ciclo vincente successivo è arrivato non senza sconvolgimento e disorientamento iniziale, quando all'addio di Hakimi, configuratosi praticamente subito dopo aver sollevato la Coppa, si accoda quello di Conte e l'arrivo di Inzaghi, accolto sulle prime con l'umore di chi faceva un passo indietro. Nulla in confronto allo sconquasso creato dal brutto episodio che ha costretto il club alla separazione da Christian Eriksen e il successivo improvviso e inaspettato addio di Lukaku (il primo). Un vero e proprio terremoto tra la fine della stagione e l'inizio di quella successiva che ha portato ad una rifondazione veloce ma anche sorprendentemente funzionale, al netto del grave guaio commesso con il regalo fatto ai cugini del Milan nel maggio 2022. Un secondo tragico posto in campionato che portò poi ad una finale di Champions che consacrava il lavoro fino a quel momento svolto da una perfetta sinergia società-dirigenza-staff tecnico-squadra che brillava persino più forte della delusione per la sconfitta di Istanbul e che la rendeva al contrario più dolce che acre. Una paradossale sensazione che ha trovato giustizia dieci mesi dopo con la conquista del ventesimo Tricolore e la gloria della seconda stella conquistata in casa dei cugini. Emozioni e vibes che non trovano però conferma, non nella stessa intensità almeno, nei dodici mesi successivi e il pareggio d'esordio col Genoa sembrava quasi un preludio di campanelli d'allarme che squillano con veemenza il 22 settembre 2024 con il primo clamoroso ko stagionale proprio contro il Milan al termine di una partita che aveva del surreale. Dagli spalti al campo, dalle vibrazioni nell'aria e da un motore d'accensione in campo che non si è mai innescato ed è finito con l'ingolfarsi nella prima generale 'perdono', nel nome della legge dei grandi numeri. Scossoni, cadute, prestazioni di squadra e individuali che seminavano interrogativi e saliscendi psicofisici che trovavano poi contraltare nel cammino, sporco sì, ma comunque a rigor di matematica efficace, quantomeno fino a metà maggio: 'scappata' la Coppa Italia, l'ennesimo incomprensibile derby che ha spedito i rossoneri a Roma contro il Bologna è passato comprensibilmente in secondo piano per via della piena lotta per lo scudetto e una finale di Champions conquistata con pieno sacrificio, onore e merito.
E riavvolgendo il nastro fino a due mesi fa, al netto delle già lampanti e citate difficoltà sul campo (vedi i vari inciampi e scivoloni in campionato), le sensazioni masticate in quella prima metà del lontano 2019 e gli altri amari rospi mandati giù proprio all'indomani del 19esimo scudetto sollevato proprio con Antonio Conte sembravano ricordi tanto lontani da averli quasi persino 'dimenticati'. Ma l’Inter è l’Inter e la sorpresa è dietro l’angolo, come il tonfo. Gol sbagliato, gol subìto e dal 31 maggio le reti incassate sembrano una serie, al punto da far sembrare la squadra vice-campione d’Europa una nuova polveriera, addirittura persino più calda e caotica di quelle di cui sopra. Lo sfogo nel post-sconfitta col Fluminense di Lautaro Martinez, giocatore, capitano e uomo, arrivato nell'ormai lontano 2018 e sopravvissuto a tempeste e naufragi, cambiamenti d'epoca e di cicli, stravolgimenti progettuali e rinnovamenti, sconfitte e tonfi clamorosi quante vittorie estasianti, proposte di mercato e ammiccamenti da varie parti oltralpe, silenzioso e devoto, professionale e professionista, umile e applicato dalle parole mai fuori luogo... non è un caso. La durezza, nelle parole e nello sguardo, con la quale il capitano ha vuotato il sacco, evidentemente colmo di pazienza e comprensione, non può essere casuale né puro frutto di istintiva reazione mal gestita. Al contrario andrebbe piuttosto analizzata, per tempistiche quanto per modalità, per ciò che è stata con annesse cause più che conseguenze. Gli strascichi del messaggio pubblico mandato dall'argentino sono stati quelli di un vero e proprio ciclone abbattutosi sulle spalle del capitano, abbastanza larghe da sopportare la pioggia di incomprensioni o presuntuose lezioni di vita, che spaccava una facciata di un palazzo che nascondeva più di semplici crepe.
A mo di squarcio nel velo di Maya, il terremoto innescato da Lautaro ha disvelato intenzioni latenti che probabilmente attendevano soltanto di essere sollecitate per emergere. Foto che fanno pensare e storcere il naso, like sospetti, retroscena che spiegano certe rotture, clausole celate... una crepa dietro l'altra, il mondo Inter sembra improvvisamente sgretolarsi mattoncino dopo mattoncino. Centro di dibattito e bombardamento mediatici che raccontano tutto e il contrario di tutto e spiegano, realmente, ancora meno, l'immagine che oggi viene servita ai tifosi è quella di un progetto tecnico che naufraga per il bene della salute economico-finanziaria del club. E la 'serie di gol' che continuano ad incassare in quel di Porta Nuova altro non è che l'effetto domino partito con l'addio di Inzaghi, centro gravitazionale di un gruppo che oggi ha perso riferimenti e collante e che conta pochi Lautaro Martinez e tante 'cose che piacciono' al capitano. Se da un lato ci sono difatti modalità e tempistiche (unici 'dettagli' che rendono lo sfogo dell'argentino vulnerabile a qualche critica) 'appuntabili' di una dura quanto cattiva ma soprattutto lecita verità pronunciata da un antesignano, indomabile, ostinato Lautaro, dall'altro ci sono sì verità inascoltate quindi incomprensibili al di fuori dello spogliatoio, ma anche e soprattutto atteggiamenti ambigui, risposte nette che mancano e previsioni future ancora piuttosto opache che ad oggi non concedono e permettono di prefigurare granché di altisonante. Con la complicità di un disegno dirigenziale e societario difficile da decifrare, figuriamoci da comprendere, il tifoso interista è oggi preoccupato e senza dubbio spaesato e confuso, ma se c'è una cosa alla quale è certo di potersi aggrappare è quello sfogo del post-eliminazione dal Mondiale per Club, quelle parole, quello sguardo e quell'eccessivamente - ammesso che lo sia - istintivo sfogo del Toro Martinez, quel capitano resistente a dolori e tempeste, ma fermo lì dal lato di chi vuole continuare a lottare per restare in alto, lì dove la sua Inter - sua più di altri - è tornata a stare.
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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