Sembra proprio che sia finita. L’Inter ha perso Lautaro Martinez, o almeno così ci viene raccontato dalle residue cronache sportive che in questo periodo, in assenza di calcio giocato, si sono dedicate al tavolo delle ipotesi sul ritorno in campo e al calciomercato. Ieri si è persino arrivati all’annullamento della speranza di poterlo trattenere, perché il rinnovo non è sufficiente a trattenere l’attaccante. Il Barcellona gli offrirebbe il doppio.
Messa così non fa una piega, nella misura in cui un club offre una cifra che non ci si può permettere a un Lautaro Martinez che brama dalla voglia di giocare con Messi e non c’è verso di trattenerlo.

In questo periodo l’altalena degli umori pende verso un pessimismo consolidato sulla reale possibilità di tenerlo in rosa da qui ai prossimi anni e, se fosse confermata la tendenza che i giornali spagnoli svendono come un acquisto del Barcellona che si celebrerà certamente, non mi ritroverei d’accordo con la linea prospettata, per far fruttare i soldi che arriverebbero. Uso un condizionale perpetuo perché ad aprile appena iniziato, in una fase storica surreale, senza dichiarazioni ufficiali, se non quella di Javier Zanetti che, a domanda precisa, ha risposto di sperare che il giocatore resti, è normale dubitare di tutto.

Nessuna dichiarazione di smentita ma solo il quotidiano cicaleggio sull’addio dell’attaccante che, al netto del dramma che stiamo vivendo per motivi ben più importanti, frastorna riguardo la logica strategica dell’Inter. Lascerebbe comunque perplessi sapere che la cifra proposta all’argentino è di 4 milioni, se parametrata a quella di giocatori di pari e minor valore. Parliamo di un ventiduenne che in un mercato e in una condizione normale era considerato come uno dei cinque attaccanti più forti al mondo. Preso ad un prezzo conveniente (meno di 20 milioni) da Piero Ausilio nel luglio di due anni fa e diventato in poco tempo il totem dell’attacco, consacrandosi al fianco di Lukaku.

La raffigurazione vivente dell’orgoglio di un club come l’Inter che aspira a diventare stabilmente uno dei più importanti e ricchi al mondo, il simbolo di una rinascita che lentamente ma inesorabilmente sta portando il club a raggiungere un livello ancora lontano, si trova a rinviare per mesi il momento del rinnovo con Lautaro, sostenendo che c’è tempo, per poi scoprire che un rivale come il Barça ha tutto quello che serve per soffiarglielo.

Se l’Inter fosse nella dimensione di pochi anni fa non ci sarebbe nulla da obbiettare ma il settlement agreement è finito, il fair play finanziario c’è per tutti e Zhang ha espressamente mostrato i muscoli dell’ambizione inorgogliendo tutti i tifosi. Marotta è uomo di idee e attenzione al fatturato, un dirigente di riferimento per tutto il calcio italiano che ha saputo rinnovare la Juventus mantenendole il livello di competitività. Come spesso accade però si sottovaluta la cultura di una società con l’altra. Non sempre quello che funziona in una, funziona anche nell’altra, semplicemente perché cambia l’ordine dei fattori e dell’ambiente.

Si legge che l’Inter sarebbe arrivata ad offrire 4 milioni contro i 7,5 (più 1,5 di bonus) di Lukaku ed Eriksen, i 5 di Sanchez e Godin e i 4,6 di Ashley Young. A prescindere da tutto riesce difficile credere che il Barcellona, in questo particolare momento storico dove tutti i club del mondo attraversano una crisi che si ripercuote fortemente sulle casse e che durerà a lungo, riesca ad avere 111 milioni per pagare la clausola rescissoria in unica soluzione o anche mettendone 70 più uno o due giocatori come Semedo e Vidal. Non è credibile nemmeno che l’Inter proponga ad uno dei suoi tre giocatori più rappresentativi meno della metà di quello offre agli altri due, come scrive il quotidiano catalano Sport.

Si parla anche di un'Inter più italiana e giovane con obiettivi come Castrovilli, Tonali, Chiesa e Kumbulla. Nomi importanti e intriganti ma se Zhang e Marotta aspirano alla grandezza, una volta finita la tormenta c’è bisogno dell’anima vincente, del fuoriclasse, uno o due totem che trascinino. L’Inter che ha vinto con giocatori forti già in rosa quando sono arrivati Matthaeus e Brehme, Ibrahimovic ed Eto'o. Senza veri leader il talento rischia di disperdersi, come d’altronde è avvenuto questa e altre stagioni nei momenti decisivi.

Amala.

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Sezione: Editoriale / Data: Lun 06 aprile 2020 alle 00:00
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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