Non c’è sosta che si rispetti senza un caso. E’ la legge non scritta dei media nostrani, che in questa finestra dedicata agli impegni delle nazionali si sono persino superati riempiendo il buco lasciato dalla chiusura momentanea del campionato per nove giorni, fino a martedì pomeriggio. Quando il comunicato del Giudice sportivo, Gerardo Mastrandrea, ha messo la parola fine, almeno a livello di giustizia sportiva, all’antipatica faccenda Acerbi-Juan Jesus dopo la quale le parti in causa hanno potuto solo contare i danni. Non ci sono stati vincitori, semmai un assolto per mancanza di prove; sicuramente ci sono stati dei vinti, vedi JJ, che si è detto avvilito per l’epilogo, ma anche il Napoli che ha mostrato solidarietà al suo giocatore e nel frattempo, in segno di protesta, ha fatto sapere che non indosserà la patch anti-razzismo contro l'Atalanta. Una pagina di storia molto italiana, sicuramente poco edificante per l’intero movimento, che ha trattato un tema serissimo come se fosse un semplice scontro di opinioni, una ragione di tifo: è diventata, come scritto in giuridichese nella sentenza, 'la tua parola contro la mia'.
A proposito di parole, passando a temi decisamente più leggeri, hanno fatto discutere in Argentina quelle che Alessandro Costacurta aveva speso per la prestazione di Lautaro Martinez nel match contro l’Atletico Madrid che è costato l’eliminazione dalla Champions League all’Inter: "Da lui mi aspettavo qualcosa di più, anche al Mondiale non aveva fatto bene. Evidentemente in certi palcoscenici non riesce ad emergere come suggerirebbe il suo potenziale", aveva detto Billy due giorni dopo l’ultimo rigore della lotteria del Civitas Metropolitano sparato altissimo dal Toro. Quel pallone, come i meme sui social, ha fatto il giro del mondo ed è atterrato negli Stati Uniti, dove la Nazionale argentina si è esibita in un breve tour a due tappe, tra Filadelfia e Los Angeles. Lì, l’ex attaccante del Racing Avellaneda è stato inseguito dal fantasma della critica per aver steccato in zona gol anche contro il modesto El Salvador, allungando il periodo di digiuno con la Seleccion a sedici partite di fila. Fino a che un certo Rodrigo De Paul, guarda il caso come è beffardo, gli ha regalato il pallone giusto per spezzare il tabù che, di colpo, ha cancellato le chiacchiere dell’ultimo periodo. Settecentosettantasette giorni dopo, Lautaro ha finalmente esultato per una rete personale segnata con la maglia dell’Albiceleste, diventandone il decimo marcatore nella classifica all time. Un record che fa morale, anche se arrivato in una non indimenticabile amichevole contro il Costa Rica. Certamente, non può essere questa la risposta sul campo di Lauti a Costacurta, che comunque era già stato servito il giorno prima con queste parole: "Credo che abbia detto che non ho giocato bene partite importanti e non è vero. Segnare un gol nella semifinale di Champions League contro il Milan, una delle partite più importanti nella storia di entrambi i club... quello non l'ha contato. Lo invito a rivedere quel gol. E non solo quello, ma anche moltissime altre partite…".
Una risposta educata, composta, che ha evidenziato, qualora ce ne ne fosse bisogno, che le parole sono importanti in ogni ambito della vita. In campo, come nel caso di Acerbi-Juan Jesus, ma anche negli studi tv, nei quali gli analisti spesso finiscono per piegare la realtà alle proprie convinzioni. Lautaro non è decisivo? Qualche volta è successo nelle partite pesanti, tutti si ricordano la sua prestazione nella finale di Istanbul. Ma in questo caso specifico, parlando del ritorno degli ottavi contro i colchoneros, è una semplificazione per dare una motivazione a un'eliminazione altrimenti difficile da razionalizzare. Parlare di Lautaro come il tipo di giocatore che fallisce gli appuntamenti che contano è fuorviante, anche perché qualche gol prestigioso in carriera l'ha segnato. Lautaro è soprattutto uomo-squadra, il perno tattico su cui si sviluppa il meccanismo del gioco tremendamente efficace di Inzaghi. Poi ci sono anche i compagni che, come successo a Thuram e Barella a Madrid, si mangiano le occasioni create dal loro capitano. E allora perché gettargli addosso la croce? Ai posteri l’ardua sentenza… Con la possibilità, questa volta, di poter fare ricorso.
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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