'Fiu' è stato già detto? No perché, diciamola tutta: dopo ben dieci giornate di campionato l'Inter a Empoli ha finalmente giocato una partita di inusuale tranquillità che nella gestione del match quanto per risultato finale ha concesso agli uomini di Simone Inzaghi un attimo di respiro e quasi straordinaria leggerezza. Sin dall'esordio stagionale col Genoa, i campioni d'Italia hanno trovato davanti a sé prove di un calendario ricco di salite e scoscesi sentieri nei tentativi di aggirare ostacoli già noti e altri contingenti: smagliante stato di forma degli avversari nel momento degli incontri, tour de force di partite ravvicinate intervallati dagli impegni con le Nazionali, infortuni e forfait di giocatori importanti, ritardi di condizione come reminiscenze della stagione passata... (per citarne alcuni) che hanno in qualche modo condizionato un avvio stagionale che però non dà grandi alibi di sostegno al deludente 4-4 casalingo del derby d'Italia che, viziato senza dubbio dalle modalità nelle quali è arrivato, conferiva alla trasferta del Castellani quel po' di pressione in più che diversamente il match in sé non avrebbe avuto. Ciononostante i nerazzurri, ancora privi di Calhanoglu e Asllani, ma anche di Acerbi e Carlos Augusto, e un undici iniziale che vedeva Barella in cabina di regia e Frattesi al suo posto come mezzala, hanno condotto un match con qualche leggera fatica nel primo tempo che presto ha lasciato posto, con la complicità dell'espulsione di Goglichidze, a pacatezza e distensione.
Una serata spaccata da Davide Frattesi, alla quinta titolarità stagionale con la Beneamata resa spumeggiante da una storica doppietta personale, la prima in Serie A per l'ex Sassuolo, vittima, ahilui, di una sorta di scherzo del destino. Il centrocampista gioiellino della Nazionale italiana si ritrova a soffocare quel grido liberatorio che l'anima gli urlava dentro lasciandosi andare in una 'non' esultanza come segno di rispetto nei confronti dell'ex squadra. Una specie di ennesimo atto di sacrificio al quale è volente o nolente sottoposto il 16 di quel Simone Inzaghi, sempre più in difficoltà in termini di scelte iniziali, e che mette ancora una volta a referto l'umiltà e il grande senso di sacrificio che contraddistinguono il buon Tractor, sempre più calato in questa Inter e sempre più incalzante in fatto di candidature alle titolarità (con conseguenti discussioni da salotto youtubistico che spesso però trascendono dall'effettivo stato dell'arte). Al double personale del venticinquenne di Fidene, uomo partita di una gara della quale diventa simbolo, segue il sigillo marchiato dal capitano che ha tanto da dire.
Il 3-0 firmato Lautaro non è altro che un ulteriore dettaglio che fa la differenza, sul piano psicologico soprattutto. Quarto gol in Serie A per il Toro, che va a segno per la terza volta consecutivamente in trasferta dopo un match al quale ha servito una versione di sé più votata al sacrificio a servizio dei compagni, generosità poi ripagata da un gran bel gol che addolcisce la delusione del settimo posto nella classifica per il Pallone d'Oro e che fa solo da antipasto alla scorpacciata di soddisfazione di Monaco, dove l'argentino è stato insignito del Golden Foot Award 2023, premio internazionale istituito nel 2003 e destinato "a calciatori che abbiano compiuto almeno 28 anni, i quali si siano distinti per i loro risultati sportivi, sia a livello individuale che di squadra, e per la loro personalità" (come si legge su Wikipedia) e per il quale in lizza c'erano giocatori dal calibro di De Bruyne, Griezmann, Kane, Messi, Müller, Neymar Jr, Van Dijk, Verrattie Benzema. Premiazione storica e straordinaria per due motivi particolari: l'attaccante nerazzurro è il primo argentino della storia a riceverlo (battendo dunque persino Messi), venendo inoltre insignito del suddetto premio addirittura da 'fuori quota', avendo ancora soli 27 anni compiuti ad agosto. Prime volte non da niente per Lauti, non di certo rincuorato esclusivamente dal Golden Foot per il piazzamento parigino al di sotto dalle sue aspettative; ma premio che potrebbe altresì senza dubbio ridare al ragazzo di Bahia Blanca quell'energia in più necessaria a ritrovare, proprio partendo da Empoli, passando per Monaco, e il Venezia in casa, la via per tornare ai furori della scorsa stagione quando, scalpitando, trascinava la sua Inter e se stesso verso una grandezza che non può essere eclissata neanche da un settimo posto. 'Delusione' da archiviare di cui velocemente come un suo predecessore ben insegna. Ma il Ballon d'Or quanto l'Empoli sono ormai acqua passata e di entrambi gli eventi dalle emozioni diametralmente opposte l'argentino deve solo 'rubare' good vibes senza attardarsi troppo nei rimuginii.
E se di guardare oltre si parla, l'unico tarlo al quale Lautaro, come l'Inter, dovrà rivolgere i pensieri è il Venezia di Di Francesco. Con due sole vittorie, due pari e sei sconfitte, i lagunari si presentano a San Siro da terzultimi in classifica ma reduci dalla rifocillante vittoria contro l'Udinese e la necessità di far punti per trascinarsi fuori dalle impantanate terre della zona B. Area ad alto rischio dalla quale potrebbe leggermente emergere, specie dopo il ko del Monza contro il Milan, stallo del quale i veneti vorranno approfittare per allontanare il più possibile gli spettri di retrocessione che già a novembre si aggirano dalle parti del centro Taliercio. Desideri che non si tramutano in doveri perentori e che al contrario, tenendo conto dell'avversario fronteggiare, conferiscono sprint viziato da leggerezza: quel che di buono si riuscirà a fare è tutto guadagno extra. Stati d'animo di cui non godranno di certo gli uomini di casa che contro gli arancioneroverdi non esiste alternativa alla vittoria, per mettere non solo in cascina altri tre importanti punti in vista dello scontro diretto con il Napoli, ma che alleggerisca anche umore, pensieri e gambe in vista di mercoledì contro l'Arsenal. Ad una settimana dal 4-4 contro la Juventus, l'Inter ha infatti di fronte a sé i tre matches finali prima della terza sosta per le Nazionali.
E se sulla carta la settimana di impegni si presenta sotto forma di un climax crescente d'importanza, dal punto di vista pratico la sfida di stasera contro gli uomini di Di Francesco assume un peso cruciale. Uno degli aspetti fin troppo sottovalutati nel mondo del calcio, a giudicare dalla densità del calendario quest'anno più che mai reso estenuante per le squadre che avranno da affrontare anche il Mondiale per Club, è il riposo. Sottostima che trova il disappunto degli esperti, sempre attenti a ricordare quanto il riposo, nell'attività fisica, sia talvolta più importante dell'allenamento stesso. E proprio volendo disfarci di questa considerazione superficiale tanto inflazionata a proposito il recupero di energie, è proprio in tal senso che la sfida di stasera contro il Venezia rappresenta un nodo cruciale per l'immediato futuro della squadra di Simone Inzaghi. Mettere in discesa sin da subito la partita è una delle insormontabili prerogative di stasera al Meazza, dove chi scenderà in campo con la maglia nerazzurra addosso non dovrà mai perdere di vista l'obiettivo: vincere risparmiando il più possibile energie fisiche e mentali.
Cosa farà in tal senso Inzaghi, rinvigorito dal ritorno di Calhanoglu, Acerbi e Buchanan (dopo il brutto infortunio alla tibia) e dalla buona prestazione servita dal piccolo Tomas Palacios che si candida ufficialmente come nuova forza lavoro? Idee da ordinare e scelte gerarchicamente che servono a ben poco nel brain storming pre match, ai giocatori quanto a Inzaghi stesso che dovrà esser bravo a trasmettere un'unica e sola indicazione: vincere. E farlo rispettando i dettami del risparmio energetico e della sostenibilità.
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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